PADOVA Un guerriero, di quelli veri, non abdica tanto facilmente. Claudio Matias Cuffa sta bruciando le tappe dopo l’operazione al ginocchio subita lo scorso 22 ottobre e punta a rientrare già a febbraio. «Sì, voglio sorprendere tutti», confessa l’argentino, ripartito ieri per Roma dopo aver assistito alla sfida contro il Cesena. «A Villa Stuart sto lavorando come non mai. Mi sono fatto installare anche un macchinario nella mia stanza d’albergo per recuperare al meglio. Mi sveglio alle 7, lavoro un’ora in camera e poi, dopo colazione, raggiungo la clinica. Qui faccio terapie dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 19. Quindi torno in hotel, mangio e mi rimetto sotto i macchinari dalle 22 alle 23. Devo tonificare il muscolo della gamba, che dopo l’operazione al ginocchio rischia di perdere forza». Già il 22 novembre il Cabezon rientrerà a Bresseo per continuare il recupero. «La sosta che ci terrà fermi per tutto il mese di gennaio faciliterà il mio rientro in squadra. Lo spogliatoio mi manca da morire, ma i compagni mi stanno vicino ogni giorno riempiendomi di chiamate e sms». E sabato le hanno anche dedicato il gol. «Mi sono emozionato tantissimo, è stato un gesto splendido. Peccato, meritavamo di vincere. Abbiamo attaccato molto e il Cesena non è andato al di là di un paio di tiri in porta». Senza Cuffa, però, sono arrivati solo tre pareggi. È un caso? «Ragazzi, non scherziamo, non sono mica un fenomeno. La squadra c’è e a centrocampo i giovani hanno grandi qualità. Manca un po’ di personalità ma arriverà solo con il tempo. Pea è bravo, ha una grande cultura del lavoro, proprio come me. Se continuiamo a seguirlo, possiamo toglierci grandi soddisfazioni. I tifosi, però, devono starci vicino». Non potevano sfuggire all’argentino, sistemato in tribuna vip, i mugugni del pubblico della “Ovest”. «I giovani hanno bisogno di essere incoraggiati, il pubblico deve avere pazienza e intelligenza». Ha temuto, dopo l’infortunio di Vercelli, che la sua carriera fosse a rischio? «No, anche se ho capito subito che era una cosa grave. Mi stavo allungando per prendere la palla, l’avversario mi ha messo una mano in faccia e per non cadere ho puntato il piede. Su un terreno naturale molto probabilmente sarei scivolato, sul sintetico mi sono piantato e ho sentito “crack”. Ma già dopo pochi minuti pensavo solo a tornare più forte di prima».
Fonte | Stefano Volpe per Il Mattino di Padova
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