FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO
CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE
Sezioni Unite
COMUNICATO UFFICIALE N. 033/CGF
(2012/2013)
TESTI DELLE DECISIONI RELATIVE AL
COM. UFF. N. 026/CGF– RIUNIONI DEL 2, 3, 5 E 6 LUGLIO 2012
Collegio composto dai Signori:
Presidente: Dott. Gerardo MASTRANDREA; Componenti: Prof. Piero SANDULLI, Prof. Mario
SANINO, Prof. Mario SERIO, Avv. Carlo PORCEDDU, Dott. Claudio MARCHITIELLO, Avv.
Maurizio GRECO, Avv. Lorenzo ATTOLICO, Dott. Salvatore MEZZACAPO; Componenti
supplenti: Dott. Luigi IMPECIATI, Prof. Mauro SFERRAZZA – Rappresentante A.I.A.: Dott. Carlo
BRAVI; Rappresentante A.I.A. supplente: Dott. Raimondo CATANIA – Segretario: Dott. Antonio
METITIERI.
10) RICORSO DELL’U.C. ALBINOLEFFE S.R.L. AVVERSO LE SANZIONI INFLITTE:
- DELLA PENALIZZAZIONE DI 15 PUNTI IN CLASSIFICA DA SCONTARSI NELLA
ST. SP. 2012/2013
- DELL’AMMENDA DI € 90.000,00,
AI SENSI DEGLI ARTT. 9, 7, COMMI 4 E 6,. E 4 COMMA 2, C.G.S., PER
RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, PER LE VIOLAZIONI ASCRITTE AI CALCIATORI
FILIPPO CAROBBIO, CARLO GERVASONI, NICOLA FERRARI, MARCO PAOLONI,
RUBEN GARLINI, FRANCESCO RUOPOLO, DAVIDE CAREMI, KEWULLAY
CONTEH, ANTONIO NARCISO, MARCO CELLINI, MATTIA SERAFINI, ACHILLE
COSER, DARIO PASSONI, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della
Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
Con atto dell’8 maggio 2012, il Procuratore Federale deferiva, tra gli altri, alla Commissione
Disciplinare Nazionale, la società U.C. Albinoleffe S.r.l. per responsabilità oggettiva, ai sensi
dell’art. 4, comma 2 C.G.S., per le violazioni ascritte al proprio tesserato Carrobbio nel periodo
temporale compreso tra la Stagione Sportiva 2007/2008 e quella 2008/2009 e, precisamente, per la
violazione dell’art. 9 C.G.S., per essersi associato con altri calciatori al fine di commettere una serie
determinata di illeciti disciplinari, fra i quali gli illeciti sportivi di cui all’art. 7 C.G.S. e
l’effettuazione di scommesse illecite ex artt. 1 e 6 C.G.S., operando con condotte finalizzate ad
alterare il regolare svolgimento ed il risultato di gare dei campionati nazionale, con lo scopo di
illecite locupletazioni o mediante dazioni di denaro costituenti il compenso per l’illecita attività
posta in essere ovvero mediante scommesse dall’esito sicuro perché realizzate su gare combinate.
La società in questione veniva deferita, altresì, con il medesimo atto, per responsabilità
oggettiva, ai sensi degli artt. 7, comma 4 e 6ll’art. 4, comma 2 C.G.S., in ordine agli addebiti
contestati:
(i) ai propri tesserati, Sig. Gervasoni e Sig. Carobbio, nell’ambito della gara
Frosinone/Albinoleffe, dell’1 giugno 2008:
(ii) ai propri tesserati, Sig. Gervasoni, Sig. Carobbio, Sig. Ferrari, Sig. Garlini, Sig. Poloni e
Sig. Ruopolo, nell’ambito della gara Rimini/Albinoleffe, del 20 dicembre 2008;
(iii) al proprio tesserato, Sig. Gervasoni, nell’ambito della gara Ancona/Albinoleffe, del 17
gennaio 2009;
(iv) ai propri tesserati, Sig. Gervasoni, Sig. Carobbio, Sig. Ruopolo, Sig. Caremi e Sig.
Conteh, nell’ambito della Pisa/Albinoleffe, del 7 marzo 2009;
(v) ai propri tesserati, Sig. Gervasoni, Sig. Carobbio, Sig. Ruopolo, Sig. Narciso e Sig.
Serafini, nell’ambito della gara Salernitana/Albinoleffe, del 18 aprile 2009;
(vi) ai propri tesserati, Sig. Gervasoni, Sig. Carobbio, Sig. Rupolo e Sig. Coser, nell’ambito
Frosinone/Albinoleffe, del 9 maggio 2009;
(vii) al proprio tesserato, Sig. Gervasoni, nell’ambito della gara Albinoleffe/Ancona, del 30
maggio 2009;
(viii) al proprio tesserato, Sig. Passoni, nell’ambito della gara Albinoleffe/Piacenza, del 20
dicembre 2010;
(ix) al proprio tesserato, Sig. Passoni, nell’ambito della gara Piacenza/Albinoleffe, del 21
maggio 2011.
Nel corso delle udienze davanti alla Commissione Disciplinare, la società U.C. Albinoleffe
S.r.l. respingeva le accuse mosse nei suoi confronti.
Con decisione pubblicata in data 18 giugno 2012, la Commissione Disciplinare dichiarava la
società in questione colpevole delle violazioni alla stessa ascritte e condannava quest’ultima alla
penalizzazione in classifica di quindici punti da scontarsi nella stagione agonistica 2012/2013 ed
all’ammenda di € 90.000,00 (novantamila/00).
I Giudici di prime cure ritenevano raggiunta la prova che le gare oggetto di contestazione
fossero state oggetto di un tentativo di combine posto in essere, tra gli altri, anche dai giocatori
tesserati con la società in questione, con la conseguente responsabilità oggettiva di quest’ultima per
gli illeciti commessi dai propri calciatori.
Contro la predetta sentenza della Commissione Disciplinare, la società U.C. Albinoleffe S.r.l.
ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Federale, chiedendone l’integrale riforma. In
particolare, la ricorrente sostiene, in primo luogo, di essere del tutto estranea agli accadimenti
oggetto di contestazione, i quali avrebbero riguardato esclusivamente la sfera privata ed individuale
dei giocatori coinvolti, con conseguente esclusione di qualsiasi responsabilità a carico della società
medesima.
Sul punto, la società in questione sostiene che nelle ipotesi in cui il rapporto di tesseramento
tra l’agente e la società perde del tutto rilevanza, determinando il distacco tra l’operare del primo ed
il passivo subire del secondo, la responsabilità oggettiva di quest’ultima dovrebbe incontrare un
limite applicativo. Ne conseguirebbe che la situazione in cui versa l’Albinoleffe, quale vittima e
destinataria di gravissimi pregiudizi, materiali e morali, causatile dall’operato dei propri tesserati,
dovrebbe comportare un ridimensionamento della sanzione irrogata, così come il Tribunale
Nazionale di Arbitrato dello Sport aveva deciso in merito ad un procedimento a carico della società
Benevento Calcio S.p.A. e come la Corte Federale di Giustizia aveva stabilito in ordine alla
posizione del Chieti, la cui responsabilità sarebbe stata addirittura esclusa del tutto.
Il ricorrente riferisce, altresì, che la giurisprudenza internazionale avrebbe fatto proprio il
principio secondo cui, in caso di manipolazione di partite che investano club ignari dei
comportamenti fraudolenti compiuti dai propri calciatori, non sarebbe prevista l’applicazione
automatica della responsabilità oggettiva, anche se la stessa è parimenti prevista dai codici
internazionali di settore.
Al fine di supportare la predetta tesi, la società Albinoleffe evidenzia (i) come nel caso dei
giocatori Sig. Meszaros e Sig. Poleksic, al deferimento di quest’ultimi per essere stati avvicinati da
membri di un gruppo criminale ed aver posto in essere atti diretti ad alterare il risultato di una
determinata gara, non sarebbe seguito alcun deferimento per il relativo club di appartenenza,
nonché (ii) come nella vicenda relativa al club FC Karpaty, l’organo UEFA competente avrebbe
chiarito che la prassi della Federazione Europea sarebbe quella di non considerare automaticamente
la società di appartenenza quale responsabile oggettiva della condotta dei suoi tesserati e ciò
nonostante nei regolamenti UEFA la responsabilità oggettiva abbia un ruolo centrale, così come
delineato dal C.G.S. della FIGC ed, infine, (iii) come il TAS di Losanna, in merito al cd. “Caso
Valverde”, avrebbe statuito una distinzione tra “sanzione sportiva” (intesa quale conseguenza della
violazione di una regola) e “sanzione disciplinare” (intesa quale conseguenza di un comportamento
negligente o colposo), stabilendo che, in caso di perdita della partita da parte del club come
conseguenza della manipolazione perpetrata dai propri calciatori a suo danno, nessuna sanzione
sportiva potrebbe essere inflitta alla società, già penalizzata dal mancato risultato sportivo ottenuto.
Infine, la società ricorrente lamenta l’eccessività dell’ammenda irrogata: in particolare, in
merito alla condotta del suo tesserato, Sig. Carobbio, la società evidenzia come la stessa non abbia
tratto alcun vantaggio, ma solo irreparabili e ingenti pregiudizi, mentre, in relazione alle tre omesse
denunce dei propri tesserati, la ricorrente rileva come non sia chiaro il motivo per cui la
Commissione Disciplinare abbia attribuito un’ammenda di € 30.000,00 per le due omissioni del Sig.
Cellini e del Sig. Narciso ed € 30.000,00 per l’inadempienza del solo Sig. Carobbio. A tal proposito,
l’Albinoleffe precisa che, nel caso di specie, risulterebbero presenti le stesse circostanze attenuanti
rilevate dalla Corte di Giustizia Federale nei confronti della società Calcio Portogruaro Summaga
S.r.l.: la categoria di appartenenza del club, il carattere sporadico della violazione ed il fatto che la
società fosse rimasta completamente all’oscuro della condotta del suo tesserato.
All’udienza di questa Corte di Giustizia Federale, sono presenti gli Avv.ti Chiacchio e
Tettamanti, i quali si riportano alle difese ed alle conclusioni contenute nel ricorso.
La Corte, in via preliminare, ritiene opportuno svolgere alcune brevi considerazioni in ordine
al principio della responsabilità oggettiva delle società di appartenenza di tesserati coinvolti in
illeciti sportivi.
A questo proposito, come, peraltro, è stato già correttamente osservato dalla giurisprudenza di
questa medesima Corte (ex plurimis, cfr. Com. Uff. n. 56 Stagione Sportiva 2011/2012) e dalla
C.A.F. (cfr. Com. Uff. n. 7/C Stagione Sportiva 2004/2005), si ricorda che, nell’ambito
dell’ordinamento sportivo, la larga utilizzazione, in particolare nel calcio, dei moduli della
responsabilità oggettiva è correlata in primo luogo a necessità operative ed organizzative,
trattandosi di strumento di semplificazione utile a venire a capo, in tempi celeri e compatibili con il
prosieguo dell’attività sportiva e quindi con la regolarità delle competizioni e dei campionati, di
situazioni di fatto che altrimenti richiederebbero, anche al fine di definire le varie posizioni
giuridicamente rilevanti in campo, lunghe procedure e complessi, oltre che costosi, accertamenti.
L’ordinamento sportivo, del resto, non può permettersi di lasciare determinati eventi impuniti
o comunque privi di conseguenze sanzionatorie.
La detta giurisprudenza ha precisato che, nell’ordinamento calcistico, le società possono
essere chiamate a rispondere a titolo di responsabilità diretta, presunta ed oggettiva. Le società
rispondono direttamente dell’operato di chi le rappresenta ai sensi dei regolamenti federali; sono
presunte responsabili sino a prova contraria degli illeciti sportivi a loro vantaggio, che risultino
commessi da persone ad esse estranee; sono, infine, oggettivamente responsabili (è il caso che qui
interessa) dell’operato dei propri dirigenti, soci e tesserati agli effetti disciplinari.
Se nessun problema si è storicamente posto circa la responsabilità diretta e quella presunta,
operando, nel primo caso, i normali principi in tema di rappresentanza e di organi rappresentativi, e
trovando spazio, nel secondo caso, la possibilità di una prova liberatoria da parte della società
sportivamente avvantaggiata dall’illecito, non altrettanto può dirsi della responsabilità oggettiva,
relativamente alla quale si sono manifestate diverse prese di posizione volte a contestarne non solo
l’opportunità, ma la stessa compatibilità con i principi di civiltà giuridica e con gli stessi fondamenti
dell’ordinamento comune.
Al contrario, si è rilevato che la responsabilità oggettiva, che riguarda le società e non anche i
singoli atleti, trova, nell’ottica della particolare autonomia dell’ordinamento sportivo e delle sue
finalità, una valida giustificazione, rispondendo all’esigenza di assicurare il pacifico e regolare
svolgimento dell’attività sportiva.
Tali granitici principi non vengono, peraltro, smentiti, come vorrebbe la ricorrente, dalla
legislazione internazionale richiamata da quest’ultima nel proprio ricorso, legislazione, che, infatti,
prevede espressamente la responsabilità dei clubs “per la condotta dei propri calciatori” (art.6 del
Codice Disciplinare UEFA).
Si rileva, sul punto, che i precedenti giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente non siano
conferenti in questa sede, posto che le fattispecie oggetto degli stessi risultano essere del tutto
dissimili da quella che ha visto protagonisti i tesserati della ricorrente stessa.
I precedenti rilievi non precludono, però, a questa Corte il potere di graduazione delle
sanzioni. E questo soprattutto in fattispecie dove va escluso ogni coinvolgimento nella materiale
casualità dell’accaduto, non essendo in alcun modo materialmente riferibile alla stessa società il
fatto imputato, ed in cui anzi la società di appartenenza, oltre a non conseguire alcun vantaggio, è
risultata in definitiva danneggiata, sotto molteplici profili, dalla condotta perpetrata dal proprio
tesserato (decisione C.A.f. sul caso del calciatore Luciano, Com. Uff. n. 12/C del 4 novembre
2002).
Orbene, a quest’ultimo riguardo, la Corte, indiscussa la responsabilità dei tesserati della
ricorrente, osserva, in primo luogo, che non risulta equo determinare una sanzione per
responsabilità oggettiva adottando un mero criterio matematico tenuto conto del numero degli
illeciti posti in essere dai tesserati di una determinata società.
Come, poi, correttamente osservato dalla giurisprudenza da ultimo citata, nella
determinazione delle sanzioni da comminare, deve anche essere tenuto in debito conto il fatto che la
società è risultata danneggiata dalla condotta dei propri tesserati e, limitatamente all’ammenda, la
categoria di appartenenza del club.
Sul punto, è, allora, necessario ricordare che la società ricorrente, nelle gare oggetto degli
illeciti commessi dai propri tesserati, è risultata (quasi) sempre soccombente e, quindi, per
definizione, danneggiata.
In virtù di quanto sopra, la Corte ritiene di dover rideterminare le sanzioni comminate alla
ricorrente, rendendole più congrue, e conseguentemente di accogliere parzialmente il ricorso
proposto dalla U.C. Albinoleffe S.r.l. di Bergamo.
Per questi motivi la C.G.F. in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto
dall’U.C. Albinoleffe S.r.l. di Bergamo riduce le sanzioni inflitte:
- alla penalizzazione di 9 punti in classifica da scontarsi nella Stagione Sportiva 2012/2013;
- all’ammenda di € 45.000,00.
Dispone restituirsi la tassa reclamo.
14) RICORSO DEL NOVARA CALCIO AVVERSO LE SANZIONI INFLITTE:
- DELLA PENALIZZAZIONE DI 4 PUNTI IN CLASSIFICA DA SCONTARSI NELLA
STAGIONE SPORTIVA 2012/2013;
- DELL’AMMENDA DI € 35.000,00,
PER RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, AI SENSI DEGLI ARTT. 9 E 4 COMMA 2, C.G.S.,
PER LE VIOLAZIONI ASCRITTE AL CALCIATORE CRISTIAN BERTANI, SEGUITO
DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP
DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN
del 18.6.2012)
Con atto in data 8 maggio 2012 il Procuratore Federale, a seguito di una complessa istruttoria
deferiva una serie di soggetti, tra i quali la Società Novara Calcio S.p.A. a titolo di responsabilità
oggettiva ex art. 4 comma II, C.G.S. ai sensi dell’art. 7, comma 4, C.G.S. in relazione agli addebiti
mossi ai propri tesserati di cui agli artt. 7 e 9 C.G.S..
L’attività di indagine ha consentito di acquisire agli atti una serie di elementi probatori
desumibili dall’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. di
Cremona in data 9 dicembre 2011 e dalle dichiarazioni rese dai soggetti coinvolti in sede di
interrogatorio innanzi al Procuratore della Repubblica di Cremona ed al Giudice per le Indagini
Preliminari di Cremona, nonchè in sede di audizione innanzi al Procuratore Federale.
Gli ulteriori sviluppi delle indagini confermano la sussistenza dell’ipotesi associativa.
In particolar modo le indagini effettuate pongono in luce il carattere transnazionale
dell’associazione e consentono di individuare con maggiore chiarezza, tra l’altro: gli organizzatori; il
ruolo rivestito dai singoli associati; le ramificazioni dell’associazione in ambito nazionale; la
distribuzione dei compiti tra i partecipanti; le modalità di finanziamento delle singole attività
illecite volte all’alterazione del risultato delle gare; gli espedienti posti in essere per trasferire le
somme necessarie e per individuare i calciatori disposti a ricevere denaro o per condizionare l’esito
delle competizioni alle quali prendevano parte o per avvicinare i compagni di squadra.
Il risultato dell’operato delle forze di polizia, che in diversi paesi europei hanno proficuamente
posto in essere le proprie investigazioni con riferimento alla stessa vicenda criminosa, viene riferito
nell’ordinanza n. 726/11 emessa in data 9/12/2011 dal Gip di Cremona.
Nell’atto citato si riassume preliminarmente l’esito delle indagini svolte in precedenza in sede
di giustizia ordinaria, richiamando quanto emerso con riferimento all’esistenza di due gruppi di
persone definite rispettivamente dei “bolognesi” e degli “zingari”, ricordando che entrambi sono già
stati oggetto di considerazioni nella prima ordinanza cautelare, così come il loro modus operandi
consistente, per gli “zingari”, principalmente nel contattare i calciatori di persona, mostrando loro il
denaro.
Si citano quindi le telefonate intercettate, nel corso delle quali si parla degli “zingari”, nonché
delle dichiarazioni rese al riguardo da Vittorio Micolucci sul ruolo di Gervasoni (il quale ha
mantenuto un rapporto molto prolungato nel tempo, certamente superiore ad un anno con i predetti
finalizzato alla manipolazione delle partite).
Si accenna quindi al gruppo dei “bolognesi” capeggiato da Signori, che intratteneva rapporti
con soggetti orientali definiti come i “singaporiani”, che consentivano loro di scommettere somme
consistenti di denaro (centinaia di migliaia di euro) sui mercati asiatici.
Il gruppo degli “zingari” viene preso particolarmente in considerazione alle pagg. 208/230 del
provvedimento dell’AGO ove si osserva che lo stesso dipende dal “cartello” di Singapore ed è
composto da scommettitori; soggetti inseriti in ambito sportivo, pregiudicati; loro compito
principale era quello di penetrare all’interno dei settori calcistici per reclutare atleti disponibili a
favorire la manipolazione di incontri calcistici.
Il denaro, invece, viene fornito dai soggetti operanti in Singapore per essere veicolato agli
sportivi corrotti.
Si afferma, in particolare, che gli “zingari” fungono da anello di collegamento
dell’associazione e sono in contatto con la criminalità locale in ciascuno dei paesi in cui si sono
svolte indagini analoghe.
Nel tracciare un breve profilo di ciascuno dei soggetti facenti parte del gruppo citato si
riferisce tutto quanto emerso con riferimento ai rapporti intrattenuti da questi ultimi con soggetti
italiani.
Interessante appare ancora al riguardo l’analisi del risultato delle indagini effettuate in altri
paesi e, in particolare, di quelle svolte in Finlandia, Germania, Croatia ed Ungheria, nell’ambito
delle quali sono emersi anche elementi di prova concernenti gare disputate nel campionato italiano,
il cui risultato è stato alterato al fine di conseguire illeciti guadagni mediante l’effettuazione di
scommesse ed il ruolo rivestito da persone soggette all’ordinamento sportivo.
Si osserva inoltre che, alla luce degli elementi emersi successivamente all’ordinanza del
28.5.2011, gli “zingari” sono il braccio operativo dell’associazione di Singapore, luogo ove si
effettuano invece le scommesse.
Gli “zingari” in particolare, sono i soggetti dell’est che individuano le partite sulle quali
investire, incaricati dall’organizzazione di prendere contatto con i calciatori e di provvedere alla
loro corruzione.
In Italia essi si avvalgono della collaborazione di quella che può essere definita senz’altro una
propaggine nazionale dell’associazione.
A conferma dell’esistenza della stabilità di contatti tra “singaporiani” e “zingari” si cita una
telefonata particolarmente significativa (vedi ordinanza pagg. 22/23).
Le scommesse effettuate hanno ad oggetto gare disputate in diversi paesi europei e, per quel
che qui maggiormente rileva, in Italia che viene definita, anzi, il luogo ove maggiormente sono
emersi movimenti dei membri dell’associazione e lo svolgimento di attività volte alla
manipolazione delle gare.
Nell’atto di deferimento emerge che la gara in ordine alla quale si erano svolte adeguate
indagini che portavano al deferimento dei Sigg. Nicola Vintola e Alberto Maria Fontana era
appunto Chievo-Novara del 30.11.2010.
Il Deferimento concludeva con la seguente richiesta: la Società Novara, a titolo di
responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, C.G.S., per gli
addebiti mossi ai propri tesserati sopra indicati. Con l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 7 del
C.G.S., della effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato finale della gara in questione.
La Commissione Nazionale Disciplinare dopo una puntuale verifica dei fatti e meditate
considerazioni di diritto, così concludeva: Società Novara Calcio S.p.A: penalizzazione in classifica
di punti 4 (quattro) da scontarsi nella stagione agonistica 2012/2013 e ammenda di € 35.000,00
(trentacinquemila/00).
Avverso tale decisione ha proposto reclamo la Novara Calcio S.p.A..
Con il detto reclamo il Novara Calcio, invero, non contesta il principio della responsabilità
oggettiva quale cardine del sistema di giustizia sportiva, quanto piuttosto rappresenta la necessità
che lo stesso venga applicato “in modo critico e razionale per evitare storture di sistema”. Tale
processo sanzionatorio, ad avviso della reclamante, si dovrebbe manifestare attraverso parametri di
equità e proporzionalità. In altri termini, si contesta la meccanicistica trasposizione, ad opera della
Commissione disciplinare nazionale, del giudizio di disvalore che investe i tesserati del Novara
Calcio sulla società medesima senza considerare la condotta dalla stessa tenuta all’epoca della
violazione.
All’udienza di discussione il difensore insisteva in tutti i motivi di gravame, ribadendo le
conclusioni già rassegnate in sede di reclamo. La Procura Federale affermava l’infondatezza del
gravame, di cui chiedeva il rigetto.
Ciò premesso, come queste Sezioni unite hanno già avuto modo di osservare (cfr. da ultimo
Com. Uff. n. 061/CGF del 18 agosto 2011 e richiami ivi riportati), con riguardo alla responsabilità
oggettiva delle società di appartenenza dei tesserati, va osservato che nell’ambito dell’ordinamento
sportivo la larga utilizzazione, in particolare nel calcio, dei moduli della responsabilità oggettiva è
correlata in primo luogo a necessità operative ed organizzative, trattandosi di strumento di
semplificazione utile a venire a capo, in tempi celeri e compatibili con il prosieguo dell’attività
sportiva e quindi con la regolarità delle competizioni e dei campionati, di situazioni di fatto che
altrimenti richiederebbero, anche al fine di definire le varie posizioni giuridicamente rilevanti in
campo, lunghe procedure e complessi, oltre che costosi, accertamenti. L’ordinamento sportivo, del
resto, non può permettersi di lasciare determinati eventi impuniti o comunque privi di conseguenze
sanzionatorie.
Com’è noto, nell’ordinamento calcistico le società possono essere chiamate a rispondere a
titolo di responsabilità diretta, presunta ed oggettiva. Le società rispondono direttamente
dell’operato di chi le rappresenta ai sensi dei regolamenti federali; sono presunte responsabili sino a
prova contraria degli illeciti sportivi a loro vantaggio, che risultino commessi da persone ad esse
estranee; sono infine oggettivamente responsabili (è il caso che qui interessa) dell’operato dei
propri dirigenti, soci e tesserati agli effetti disciplinari.
Se nessun problema si è storicamente posto circa la responsabilità diretta e quella presunta,
operando, nel primo caso, i normali principi in tema di rappresentanza e di organi rappresentativi, e
trovando spazio, nel secondo caso, la possibilità di una prova liberatoria da parte della società
sportivamente avvantaggiata dall’illecito, non altrettanto può dirsi della responsabilità oggettiva,
relativamente alla quale si sono manifestate diverse prese di posizione volte a contestarne non solo
l’opportunità, ma la stessa compatibilità con i principi di civiltà giuridica e con gli stessi
fondamenti dell’ordinamento comune.
Al contrario, si è osservato dalla parte dei più, la responsabilità oggettiva, che riguarda le
società e non anche i singoli atleti, trova, nell’ottica della particolare autonomia dell’ordinamento
sportivo e delle sue finalità, una valida giustificazione, rispondendo all’esigenza di assicurare il
pacifico e regolare svolgimento dell’attività sportiva.
Ma ciò non può voler dire che l’Organo giudicante perde ogni potere di graduazione della
pena, dovendo automaticamente trasporre nei confronti della società oggettivamente responsabile il
giudizio di disvalore effettuato nei confronti del tesserato, ed eleggendo le società stesse a ruolo di
meri garanti e responsabili indiretti dell’operato dei propri tesserati. E questo soprattutto in
fattispecie dove va escluso ogni coinvolgimento nella materiale causalità dell’accaduto, non
essendo in alcun modo materialmente riferibile alla stessa società il fatto imputato, ed in cui anzi la
società di appartenenza, oltre a non conseguire alcun vantaggio, è risultata in definitiva
danneggiata, sotto molteplici profili, dalla condotta perpetrata dal proprio tesserato.
In effetti, già la stessa Commissione disciplinare nazionale, ha, con riguardo alla reclamante,
rilevato “da una parte, la gravità delle condotte dei tesserati, del cui operato la Società risponde a
titolo di responsabilità oggettiva; dall’altra, l’attenuante che va riconosciuta per l’ampia e idonea
attività di prevenzione attuata dalla Società, puntualmente documentata; il fatto di aver provato a
combattere il fenomeno delle scommesse arrivando a denunciare un propria gara sospetta per
flussi anomali; i danni diretti ricevuti dai propri tesserati. Una valutazione equitativa induce a
ritenere congrua la penalizzazione di punti in classifica nella misura indicata nel dispositivo e a
non infliggere la sanzione della esclusione dalla Coppa Italia”. Sono stai poi effettivamente
irrogati punti 4 di penalizzazione – rispetto ai 6 richiesti dalla Procura federale – da scontarsi nella
stagione agonistica 2012/2013 e l’ ammenda di € 35.000,00 (trentacinquemila/00).
Orbene, ritiene la Corte che in aderenza peraltro a detto percorso logico e in coerenza con il
richiamato orientamento di questa stessa Corte, la sanzione irrogata al Novara Calcio vada, in
parziale accoglimento del reclamo in esame, ulteriormente ridotta e riformulata in punti 3 di
penalizzazione da scontarsi nella Stagione Sportiva 2012/2013. A ciò conduce una più attenta
valutazione della complessiva condotta della reclamante, di tutta la attività da questa posta in
essere, invero tanto in via preventiva che successiva ed espressamente finalizzata a combattere il
fenomeno degli illeciti sportivi ovvero ad eliminarne le conseguenze. In questo ambito vanno
riassuntivamente richiamati, tra gli altri interventi, l’approvazione da parte del Novara Calcio del
primo modello organizzativo ex decreto legislativo n. 231/01 e relativo Codice etico;
l’approvazione nel gennaio del 2012 di un nuovo modello organizzazione e di gestione; il
conseguimento nel marzo ancora di quest’anno di certificazione di qualità ISO 9001:2008 come
prima società calcistica in Italia; l’aver affidato nel febbraio 2012 a soggetto professionale lo studio
dell’andamento delle quote di scommesse legate alle partite che avrebbe giocato il Novara da quel
momento alla fine del campionato, successivamente deliberando di continuare l’opera di
monitoraggio delle partite; disciplinando infine tale sistema con l’adozione di un Codice Antifrode
il 27 aprile 2012. Si tratta di fatti, condotte e circostanze che appunto rilevano in positivo nel senso
della riduzione della inflitta penalizzazione a punti 3, in applicazione del richiamato principio di
gradualizzazione della sanzione irrogata a titolo di responsabilità oggettiva che compete all’organo
giudicante.
Per questi motivi la C.G.F. in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto dal
Novara Calcio di Novara riduce la sanzione inflitta alla sola penalizzazione di 3 punti in classifica
da scontarsi nella Stagione Sportiva 2012/2013.
Dispone restituirsi la tassa reclamo.
28) RICORSO DEL SIG. GIUSEPPE MAGALINI AVVERSO LA SANZIONE DELLA
INIBIZIONE DI 3 ANNI E 3 MESI, INFLITTA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7 COMMI
1, 2 E 5 C.G.S, IN RELAZIONE ALLA GARA ANCONA – MANTOVA DEL 30.5.2010,
SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-
12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n.
101/CDN del 18.6.2012)
Il Sig. Giuseppe Magalini, all’epoca dei fatti direttore sportivo della società A.C. Mantova,
propone appello avverso la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale, pubblicata sul
Com. Uff. n. 101 /CDN del 18 giugno 2012, nel profilo con il quale gli è stata inflitta la inibizione
di 3 anni e 6 mesi, ai sensi dell’art.7, commi 1,2 e 5 C.G.S., per avere posto in essere atti diretti ad
alterare lo svolgimento e il risultato della gara Ancona/Mantova del 30 maggio 2010.
Con la decisione qui impugnata la Commissione Disciplinare Nazionale ha irrogato
sanzioni a carico di altri tesserati coinvolti nella stessa vicenda. Questi hanno proposto separati
appelli esaminati da questa Corte alla stessa udienza e decisi con autonomi provvedimenti.
All’esame dell’appello proposto dal Sig. Magalini deve premettersi un sintetico riassunto
della vicenda quale emerge dagli atti del procedimento e dalle premesse in fatto della decisione
impugnata.
La sera antecedente la gara Ancona/Mantova del 30 maggio 2010 i calciatori del Mantova
Carlo Gervasoni, Tomas Locatelli, Maurizio Nassi e Mirko Bellodi chiesero ed ottennero dal
direttore sportivo Sig. Magalini di poter utilizzare l’auto della società per recarsi ad un incontro con
calciatori dell’ Ancona allo scopo di verificare se era possibile “comprare” la partita o quanto meno
stringere un accordo che favorisse il Mantova impegnato nella lotta per evitare la retrocessione.
Per quanto qui interessa, il calciatore Gervasoni, nell’interrogatorio reso al P.M. della
Procura della Repubblica di Cremona in data 12 marzo 2012, ha dichiarato: “ …abbiamo cercato di
comprare la sconfitta dell’Ancona o quantomeno di stringere un accordo che consentisse di
guardare gli altri risultati delle partite per la salvezza che si disputavano contemporaneamente. Fu
il Magalini a darci la macchina della società per recarci ai luoghi dell’appuntamento con i
giocatori dell’Ancona”
Lo stesso Gervasoni nell’audizione resa alla Procura Federale il 13 aprile 2012 ha
confermato quanto sopra: “ Il Locatelli si rivolse al Magalini per avere l’auto con cui andare
all’incontro per cercare di concordare l’esito della gara. Io ero presente nel momento in cui
Locatelli ha chiesto le chiavi della macchina a Magalini espicitandone il motivo . Preciso che la
macchina fornita dalla società Mantova ( una Alfa 147 di colore scuro in uso a Magalini) ci servì
per raggiungere il parcheggio dove avvenne il primo incontro che era situato poco lontano
dall’albergo. L’utilizzo dell’auto serviva per seguire la macchina di Mastronunzio che infatti ci
precedette fino ad un parcheggio un po’ nascosto”.
Il contenuto di tali dichiarazioni è stato fondamentalmente confermato dal calciatore
Locatelli nell’interrogatorio reso alla Procura Federale in data 4 maggio 2012. Il Locatelli ha
confermato la versione dei fatti data dal Gervasoni anche se, a scopo evidentemente difensivo, ha
tentato di minimizzare la sua partecipazione agli incontri tra le “rappresentative” delle due squadre
e ha dichiarato di non ricordare se l’auto utilizzata per recarsi agli incontri fosse della società o di
un altro calciatore. Le sue parziali ammissioni, comunque, sono sufficienti, ad avviso della Corte, a
corroborare, rinforzandola, la versione dei fatti data dal Gervasoni.
Ad un primo incontro tra i quattro calciatori del Mantova e il calciatore dell’Ancona
Salvatore Mastronunzio, che si riservò una risposta dopo averne parlato con i compagni di squadra,
seguì un secondo incontro al quale parteciparono, oltre ai giocatori del Mantova già nominati, anche
i calciatori dell’Ancona Roberto Colacone, Andrea De Falco e Filippo Cristante e lo stesso
Mastronunzio.
L’accordo non fu trovato di tal che la combine è rimasta allo stato di tentativo. L’’esito
negativo della trattativa, secondo quanto dichiarato dal Gervasoni nell’interrogatorio del 13 aprile
2012, fu riferito al Magalini.
La decisione qui impugnata, come si è già anticipato, ha irrogato sanzioni per tutti i soggetti
coinvolti (il De Falco ha ottenuto il patteggiamento della sanzione in applicazione dell’art. 23 del
Codice di Giustizia Sportiva) e per le società di appartenenza.
Da quanto precede emerge con chiarezza quale sia stato l’apporto del Magalini al tentativo
di illecito. Il direttore sportivo del Mantova ha condiviso il piano espostogli dai calciatori
Gervasoni, Locatelli, Nassi e Bellodi diretto a tentare di alterare la gara con l’Ancona.
Il Magalini, condividendo tale obiettivo, ha reso concretamente realizzabile il piano
autorizzando detti calciatori a servirsi dell’auto della società, di cui solo lui aveva la disponibilità,
per incontrare i calciatori della squadra avversaria.
L’appello proposto dal Magalini, che non presenta deduzioni rivolte a negare che nella
fattispecie si sia realizzato il tentativo di alterare lo svolgimento e il risultato della gara Ancona –
Mantova, ma che è diretto solo a contestare il capo della decisione impugnata che lo riguarda, è
manifestamente infondato.
L’appellante, con un primo motivo, richiamando i principi costituzionali che sono a
fondamento del “giusto processo” e la loro applicazione nel processo penale, lamenta che nel
procedimento di primo grado tali principi sarebbero stati violati non essendosi consentito da parte
della Commissione Disciplinare Nazionale (con l’ordinanza n. 5) di interrogare il calciatore
Gervasoni, principale accusatore del Magalini, in contraddittorio con la difesa del deferito. Secondo
l’appellante, cioè, potendosi configurare il procedimento per illecito sportivo come un “processo
penale sportivo”, sarebbe stato violato, in definitiva, dalla Commissione Disciplinare Nazionale il
principio del contraddittorio che rappresenta uno dei cardini del “giusto processo”.
La Corte non condivide tale assunto ritenendolo infondato in fatto atteso che il principio del
contraddittorio è salvaguardato nei procedimenti relativi agli illeciti sportivi, per la facoltà data ai
tesserati deferiti di presentare controdeduzioni e memorie difensive avverso gli atti del
procedimento ma anche di controbattere alle accuse in un dibattito pubblico.
Nel dibattimento, infatti, che rappresenta il punto centrale del procedimento, si fronteggiano
la Procura Federale e la difesa del deferito (o il deferito stesso) su un piano di perfetta parità. Nella
specie, il Magalini è stato assistito nel procedimento di primo grado da un legale da lui nominato
che in contrapposizione con la Procura Federale ha potuto prospettare in modo completo le proprie
tesi difensive. Il riferimento al principio del contraddittorio, che, nel caso in esame, sarebbe stato
violato, con la conseguente lesione anche di principi di livello costituzionale, è dunque
assolutamente non pertinente e fuori luogo.
Quanto, invece, alla possibilità per il difensore del deferito di interrogare l’accusatore
(ovvero eventualmente anche i testimoni) va detto che tale facoltà non è prevista dalle norme del
Codice di Giustizia Sportiva che regolano i procedimenti disciplinari. Tali norme rimettono alla
Procura Federale l’acquisizione delle prove dei fatti illeciti che, comunque, non sfuggono alle
contestazioni degli interessati che possono avvalersi degli strumenti di difesa ai quali si è fatto
riferimento..
Come è stato già affermato innumerevoli volte dagli organi della giustizia federale, il
procedimento relativo agli illeciti sportivi mutua dal diritto comune e, in particolare, dal diritto
processuale penale, molti istituti ma non quello concernente l’acquisizione delle prove. Nel
procedimento sportivo, infatti, le prove non si formano nel dibattimento, anche se in questo,
proprio in vista della salvaguardia del contraddittorio, possono essere oggetto di riesame e di
valutazione delle parti contrapposte.
Con un secondo motivo, l’appellante, premesso che le dichiarazioni del Gervasoni che lo
riguardano in definitiva si configurano come una chiamata in correità, richiama la giurisprudenza
ordinaria secondo la quale tale chiamata non sarebbe sufficiente a fondare la responsabilità del
chiamato senza verificare per prima cosa l’attendibilità del dichiarante e senza avere eseguito sulle
stesse dichiarazioni le necessarie verifiche e i debiti riscontri.
La Corte ritiene che correttamente il giudice di primo grado ha concluso per l’attendibilità
del Gervasoni. La versione dei fatti, per il profilo che interessa l’appellante, è stata assolutamente
precisa. Il Gervasoni ha indicato il tipo e il colore dell’auto e ha affermato che essa era in uso al
Magalini. E’ evidente, quindi, che solo questi poteva autorizzarne l’utilizzazione e che per
allontanarsi dal ritiro della squadra per ben due volte di seguito con tale auto i calciatori avrebbero
dovuto necessariamente fare riferimento al Magalini spiegando anche i motivi di tale inusitata
richiesta. il Magalini, del resto, non nega espressamente, neppure nell’atto di appello, di avere dato
l’autovettura della società ai calciatori che ne avevano fatto richiesta e non prospetta nemmeno una
ragione lecita alla base di tale richiesta.
La Corte, pertanto, sulla scorta delle considerazioni che precedono, non solo ritiene
attendibile per la precisione che l’accompagna la versione dei fatti data dal Gervasoni, che oltretutto
si è autodenunciato, ma ritiene anche che non era necessario effettuare altri accertamenti su tale
aspetto della vicenda concernente il Magalini dopo le conferme ricevute dagli altri soggetti
coinvolti.
E’ del tutto condivisibile, può ancora aggiungersi, quanto affermato dalla decisione
impugnata secondo cui non è credibile che quattro calciatori potessero allontanarsi dall’albergo del
ritiro per due notti di seguito con l’auto della società senza che il direttore sportivo fosse a
conoscenza dei motivi di tale allontanamento.
Va infine anche considerato che il Gervasoni, accomunando a sé il Magalini, non ha
conseguito alcun beneficio o vantaggio nel presente procedimento.
Anche gli ulteriori rilievi mossi dal Magalini alla decisione appellata sono del tutto privi di
ogni consistenza.
E’ irrilevante sulla posizione del Magalinii , invero, il fatto che questi non abbia preso parte
agli incontri tra i calciatori delle due squadre, giacché la responsabilità dell’appellante non è riposta
su tale partecipazione.
Parimenti irrilevante sulla posizione del appellante è la discordanza sull’orario in cui si
sarebbero svolti gli incontri tra i giocatori delle die squadre, se, cioè., se “di notte”, “di pomeriggio”
o solo” dopo cena”. Non si vede come la puntualizzazione dell’orario degli incontri possano
riguardare la responsabilità del Magalini. In ogni caso, anche se la questione è di nessuna rilevanza
sulla presente decisione, può rilevarsi che quasi tutte le deposizioni convergono nell’indicare alle
ore 21 l’inizio della vicenda e che trattandosi di una sera di fine maggio e considerato il tempo
presumibilmente non breve trascorso nei due incontri e quello occorrente per raggiungere i luoghi
degli appuntamenti sembra plausibile ritenere che gli incontri stessi siano avvenuti “di notte”.
Non si ravvisa, pertanto, nell’atto di appello alcun rilievo che possa indurre la Corte a
modificare la decisione appellata.
L’appello del Sig. Megalini, in conclusione, va respinto con conseguente incameramento
della tassa di reclamo.
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal signor Giuseppe
Magalini e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
29) RICORSO DEL CALC. MAURIZIO NASSI AVVERSO LA SANZIONE DELLA
SQUALIFICA PER ANNI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, 5 E 6,
C.G.S., IN RELAZIONE ALLE GARE ANCONA – ALBINOLEFFE DEL 17.1.2009 E
ANCONA – MANTOVA 30.5.2010 SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della
Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
Il Sig. Maurizio Nassi, all’epoca dei fatti calciatore della società A.C. Mantova propone
appello avverso la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale,, pubblicata sul Com. Uff.
n. 101 /CDN del 18 giugno 2011, nel capo con il quale gli è stata inflitta la squalifica di tre anni ,
ai sensi dell’art.7, commi 1, 2 e 5 C.G.S., per avere posto in essere atti diretti ad alterare lo
svolgimento e il risultato della gara Ancona/Mantova del 30 maggio 2010.
Con la decisione qui impugnata la Commissione Disciplinare Nazionale ha irrogato
sanzioni a carico di altri tesserati coinvolti nella stessa vicenda. Questi hanno proposto separati
appelli esaminati da questa Corte alla stessa udienza e decisi con autonomi provvedimenti.
All’esame dell’appello proposto dal Nassi deve premettersi un sintetico riassunto della
vicenda quale emerge dagli atti del procedimento e dalle premesse in fatto della decisione
impugnata.
La sera antecedente la gara Ancona/Mantova i calciatori del Mantova Carlo Gervasoni,
Tomas Locatelli, Maurizio Nassi e Mirko Bellodi chiesero ed ottennero dal direttore sportivo Sig.
Magalini di poter utilizzare l’auto della società per recarsi ad un incontro con calciatori dell’Ancona
allo scopo di verificare se era possibile “comprare” la partita o quanto meno stringere un accordo
che favorisse il Mantova impegnato nella lotta per evitare la retrocessione.
Vi fu un primo incontro tra i quattro calciatori del Mantova e il calciatore dell’Ancona
Salvatore Mastronunzio, che si riservò una risposta dopo averne parlato con i compagni di squadra.
Seguì un secondo incontro al quale parteciparono, oltre ai giocatori del Mantova già nominati,
anche i calciatori dell’Ancona Roberto Colacone, Andrea De Falco e Filippo Cristante e lo stesso
Mastronunzio.
In ordine all’intera vicenda e, per quanto concerne più specificamente la posizione del Nassi,
si rivelano di fondamentale importanza le dichiarazioni dei calciatori Gervasoni, De Falco e
Locatelli.
Il calciatore Gervasoni, nell’interrogatorio davanti al P.M. della Procura della Repubblica di
Cremona, testualmente dichiara: “… abbiamo cercato di comprare la sconfitta dell’Ancona o
quantomeno di stringere un accordo che consentisse di guardare gli altri risultati delle partite per
la salvezza che si disputavano contemporaneamente .… Vi fu un primo incontro in un parcheggio
nel quale io, Locatelli, Bellodi e Nassi ci incontrammo con il Mastronunzio dell’Ancona. Lui si
riservò di darci una risposta dopo averne parlato con i suoi compagni. In occasione di un secondo
incontro oltre a noi quattro Mastronunzio si presentò con Cristante, De Falco e Colacone (parlò
soprattutto Locatelli), dopo aver prospettato la possibilità di vincere , come ipotesi subordinata di
un possibile accordo indicammo la possibilità di tirare a lungo la partita su un risultato di parità in
modo da rinviare negli ultimi dieci minuti l’incontro vero e proprio in attesa di sapere i risultati
degli altri campi”.
Lo stesso Gervasoni nella dichiarazione resa alla Procura Federale il 13 aprile 2012
conferma quanto già riferito al P.M. aggiungendo : “il contatto con Mastronunzio fu ottenuto da
Nassi. Questo fatto mi venne riferito da quest’ultimo”.
Il calciatore dell’Ancona Andrea De Falco, nell’audizione resa alla Procura Federale il 18
aprile 2012, riferisce che la sera prima della gara accompagnò i suoi compagni di squadra
Mastronunzio e Colacone, che lo avevano invitato ad una “passeggiata”. Giunti in auto in un
piazzale i tre incontrarono Nassi, Bellodi e Locatelli. De Falco afferma di essersi intrattenuto con
Nassi che conosceva per avere giocato insieme nell’Ancona la stagione precedente e aggiunge:
“Mastronunzio e Colacone colloquiarono con gli altri atleti presenti. Io in quel momento capii la
ragione dell’incontro e cioè che i calciatori del Mantova volevano concordare un risultato per loro
positivo”. .
Infine, anche il calciatore Locatelli, conferma tutto quanto precede: “… e poi Gervasoni e
Nassi parlavano con i calciatori dell’Ancona e venne ripreso il discorso in ordine alla gara da
disputare..” anche se poi afferma, evidentemente a scopo difensivo, che era intervenuto nelle
conversazioni in atto per impedire che il discorso potesse prendere una piega a lui non gradita, non
essendosi certamente incontrati – a suo avviso – per combinare la gara.
L’accordo non fu trovato, come ha affermato il Gervasoni, non fidandosi i calciatori
dell’Ancona dei loro avversari e, quindi, la combine si arrestò alla fase di tentativo.
Da quanto precede emerge che il calciatore Nassi ha preso parte attivamente a tale tentativo
negli incontri tra i calciatori delle due squadre.
Con la decisione qui impugnata, come si è già anticipato, la Commissione Disciplinare
Nazionale ha inflitto al Nassi la squalifica per 3 anni e ha irrogato altre sanzioni per tutti gli altri
soggetti coinvolti (il De Falco ha ottenuto il patteggiamento della sanzione in applicazione dell’art.
23 del Codice di Giustizia Sportiva) e per le società di appartenenza.
L’appello proposto dal Nassi, che non presenta deduzioni dirette a negare che nella
fattispecie si sia realizzato il tentativo di alterare lo svolgimento e il risultato della gara
Ancona/Mantova, ma che è diretto solo a contestare il capo della decisione impugnata che lo
riguarda, è manifestamente infondato.
L’appellante, con un primo articolato motivo, richiamando i principi costituzionali e alcune
sentenze della Corte Costituzionale che sono a fondamento del “giusto processo” e la loro
applicazione nel processo penale, lamenta che nel procedimento di primo grado tali principi
sarebbero stati violati non essendosi consentito da parte della Commissione Disciplinare Nazionale
(con l’ordinanza n. 5) di interrogare il calciatore Gervasoni, principale accusatore del Nassi, in
contraddittorio con la difesa del deferito. Secondo l’appellante, cioè, potendosi configurare il
procedimento per illecito sportivo come un “processo penale sportivo”, risulterebbe violato, in
definitiva, dalla Commissione Disciplinare Nazionale il principio del contraddittorio che
rappresenta uno dei cardini del “giusto processo”.
La Corte non condivide tale assunto ritenendolo infondato in fatto atteso che il principio del
contraddittorio è salvaguardato nei procedimenti relativi agli illeciti sportivi, per la facoltà data ai
tesserati deferiti di presentare controdeduzioni e memorie difensive avverso gli atti del
procedimento ma anche di controbattere alle accuse in un dibattito pubblico.
Nel dibattimento, infatti, che rappresenta il punto centrale del procedimento, si
fronteggiano la Procura Federale e la difesa del deferito (o il deferito stesso) su un piano di perfetta
parità. Nella specie, il Nassi è stato assistito nel procedimento di primo grado da un legale da lui
nominato che, in contrapposizione con la Procura Federale, ha potuto prospettare in modo
completo le proprie tesi difensive. Il riferimento al principio del contraddittorio, che, nel caso in
esame, sarebbe stato violato, con la conseguente lesione anche di principi di livello costituzionale, è
dunque assolutamente non pertinente e fuori luogo.
Quanto, invece, alla possibilità per il difensore del deferito di interrogare l’accusatore
(ovvero eventualmente anche i testimoni) va detto che tale facoltà non è prevista dalle norme del
Codice di Giustizia Sportiva che regolano i procedimenti disciplinari. Tali norme rimettono alla
Procura Federale l’acquisizione delle prove dei fatti illeciti che, comunque, non sfuggono alle
contestazioni degli interessati che possono avvalersi degli strumenti di difesa ai quali si è fatto
riferimento.
Come è stato già affermato innumerevoli volte dagli organi della giustizia federale, il
procedimento relativo agli illeciti sportivi mutua dal diritto comune e, in particolare, dal diritto
processuale penale, molti istituti ma non quello concernente l’acquisizione delle prove. Nel
procedimento sportivo, infatti, le prove non si formano nel dibattimento, anche se in questo,
proprio in vista della salvaguardia del contraddittorio, possono essere oggetto di riesame e di
valutazione delle parti contrapposte.
Anche i rilievi mossi più specificamente avverso la decisione impugnata si rivelano
infondati.
Con il primo di detti rilievi, l’appellante denuncia il difetto di motivazione della decisione
impugnata perché questa non avrebbe delineato i ruoli di ciascun soggetto coinvolto nella vicenda.
La Corte, in contrario, non ritiene che la decisione dovesse specificare analiticamente il
ruolo tenuto da ciascun partecipante una volta accertato lo scopo degi incontri. Ognuno dei presenti
a detti incontri deve considerarsi parte attiva del tentativo di combine.
Non rileva quindi individuare i soggetti che hanno condotto i colloqui e l’esatto contenuto
degli stessi.
Tra l’altro incontri effettuati alla immediata vigilia della gara – la cui finalità è stata
espressamente riferita al direttore sportivo del Mantova – , i luoghi appartati, se non addirittura
nascosti (“zona buia”) non danno adito a dubbi sul contenuto e sulla natura degli incontri.
Con un altro rilievo l’appellante contesta le dichiarazioni del Gervasoni sostenendo che il
deferito non può assumere anche il ruolo di testimone. Ciò comporterebbe la mancanza di testimoni
per l’incolpazione del Nassi.
Il rilievo non ha consistenza giacché né il Gervasoni né gli altri calciatori che hanno indicato
il Nassi quale partecipante alla vicenda possono qualificarsi come testimoni. Essi hanno rilasciato
dichiarazioni confessorie e hanno chiamato il Nassi come corresponsabile.
A tal riguardo, contrariamente a quanto ha sostenuto l’appellante, tutti i calciatori sottoposti
ad interrogatorio (tranne Locatelli) hanno affermato la partecipazione del Nassi.
La Corte ritiene che le varie discordanze, per lo più di carattere formale riscontrabili nelle
dichiarazioni rese da Gervasoni, Locatelli e De Falco riguardano minimi dettagli (“al buio” “di
sera” “dopo cena”) e non valgono a mettere in discussione gli aspetti fondamentali della vicenda
quali delineati dalla decisione impugnata.
Con un terzo rilievo l’appellante sostiene che la combine si dovrebbe ravvisare nella gara
una volta alterata mentre l’accordo volto a manipolare la gara rappresenterebbe soltanto una fase
prodromica alla combine. Solo un accordo concluso per realizzare una combine, pertanto, come atto
“ idoneo” diretto ad alterare lo svolgimento e il risultato di una gara, se non seguito dalla effettiva
alterazione della gara stessa, potrebbe configurare un tentativo di illecito Nella specie, quindi, non
essendosi raggiunto l’accordo non si sarebbe realizzato il tentativo di combine affermato dalla
decisione impugnata e i comportamenti tenuti dai calciatori non sarebbero sanzionabili, giacchè le
norme federali non puniscono il “tentativo del tentativo”.
E’ evidente l’errore in cui incorre l’appellante.
La combine si concretizza con l’accordo rispetto al quale quanto realizzato nella gara per
concretizzarlo rappresenta solo la fase esecutiva. Nella specie, quindi i calciatori delle due squadre
hanno realizzato un tentativo di combine avendo cercato un accordo per alterare la gara.
13
La decisione della Commissione Disciplinare Nazionale non è modificabile, neppure, per
quanto concerne la sanzione inflitta all’appellante.
Nella specie non si è affatto verificata unicamente la violazione dei principi “di lealtà,
correttezza e probità” di cui all’articolo 1 del Codice di Giustizia Sportiva, ma si è realizzato un
illecito sportivo, tale dovendo qualificarsi, come è noto , anche il tentativo.
L’appello, in conclusione, stante l’infondatezza di tutte le deduzioni formulate dal Nessi, va
respinto con conseguente incameramento della tassa di reclamo.
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Maurizio
Nassi e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
30) RICORSO DEL CALC. NICOLA SANTONI AVVERSO LA SANZIONE DELLA
SQUALIFICA PER ANNI 5 CON PRECLUSIONE INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7,
COMMI 1, 2, 5 E 6, C.G.S. IN RELAZIONE ALLA GARA PADOVA – ATALANTA DEL
26.3.2011, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA
N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare
Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
Il Sig. Nicola Santoni, all’epoca dei fatti contestati con il procedimento oggetto della presente
decisione allenatore di base tesserato per la società Ravenna Calcio S.r.l., ha proposto appello, come
in atti rappresentato e difeso, avverso la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale
pubblicata sul Com. Uff. n. 101 /CDN del 18 giugno 2012. Con tale decisione all’appellante, già
squalificato per gli illeciti sportivi commessi in relazione alle gare Ascoli/Atalanta del 12 marzo
2011, Atalanta/Piacenza del 19 marzo 2011 e Ravenna/Spezia del 27 marzo 2011 per quattro anni,
è stata irrogata, in applicazione dell’art. 7, commi 1, 2, 5 e 6 C.G.S., un’ulteriore sanzione
estendendo la squalifica a suo carico da 4 anni a 5 anni con preclusione della permanenza in ogni
rango della F.I.G.C..
La nuova sanzione consegue all’accertamento della partecipazione del Santoni all’alterazione
del risultato della gara Padova/Atalanta del 26 marzo 2011.
All’esame dell’appello devono farsi precedere alcune notazioni in fatto, desunte dagli atti del
procedimento e in particolare dall’atto di deferimento della Procura Federale dell’8 maggio 2012,
richiamati nella decisione appellata, che valgono a inquadrare la fattispecie, per una più compiuta
valutazione della stessa e specificamente della condotta del Santoni, nel più ampio contesto
rappresentato dal fenomeno delle partite truccate e del mondo delle scommesse.
La gara Padova/Atalanta, disputata il 26 marzo 2011, è solo l’ultima, in ordine di tempo, di
una serie di gare manipolate da un gruppo di persone ben identificato dalle indagini esperite dagli
Uffici giudiziari di Cremona e dalla Procura Federale della F.I.G.C..
Nell’atto di deferimento dell’8 maggio 2012, che concerne la presente decisione, la Procura
Federale riferisce che nel corso del procedimento n. 603/1615/pf/10-11 a carico dei tesserati
Erodiani Massimo, Parlato Gianfranco, Buffone Giorgio, Bellavista Antonio, Sommese Vincenzo e
Tuccella Gianluca, in quanto implicati in giri di scommesse, era emerso, dall’esame della
documentazione relativa alle intercettazioni telefoniche disposte dall’Autorità Giudiziaria Ordinaria
di Cremona, degli interrogatori svolti e delle audizioni effettuate dalla Procura Federale, che il
risultato finale della gara Padova/Atalanta era stato probabilmente concordato.
Era anche emerso che Cristiano Doni, calciatore dell’Atalanta, avrebbe scommesso per
interposta persona la somma di € 10.000,00 sul pareggio come risultato finale di detta partita.
Nonostante fossero emersi tali elementi non era stato possibile appurare con certezza se la
manipolazione anche di tale gara fosse stata effettivamente realizzata.
Si legge nella decisione di questa Corte Com. Uff. n. 030/CGS del 18 agosto 2011,
concernente gli illeciti relativi alle gare Ascoli/Atalanta del 12 marzo 2011, Atalanta/Piacenza del
19 marzo 2011 e Ravenna/Spezia del 27 marzo 2011 che la Commissione Disciplinare Nazionale
nella delibera oggetto di quell’appello aveva affermato il coinvolgimento di Doni anche per la gara
Padova/Atalanta. Aveva rilevato la Commissione Disciplinare Nazionale nella delibera pubblicata
sul Com. Uff. n. 13/CDN del 9 agosto 2011, infatti, che Doni “aveva di fatto contribuito a sancire
l’avvenuta combine”
Nella delibera, peraltro, non si era proceduto oltre con la valutazione delle conseguenti
responsabilità e applicazione delle relative sanzioni.
Le successive, ulteriori indagini della Procura della Repubblica di Cremona hanno consentito
di completare gli aspetti non chiariti della vicenda, pervenendo alla conclusione che effettivamente
anche il risultato della gara Padova/Atalanta era stato concordato, tanto da richiamare sulla stessa
pure l’interesse del gruppo dei cd. zingari, ossia di un gruppo di persone prevalentemente dell’EST
dedito sistematicamente alle scommesse su partite di calcio truccate attraverso la corruzione dei
calciatori anche dei campionati di calcio italiani. La circostanza poi che sui “siti asiatici” fossero
state giocate scommesse sulla gara in questione per oltre 23 milioni di euro confermava la combine.
Nell’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Cremona del 9 dicembre 2011, poi, viene
puntualizzato che punto di riferimento della combine relativa alla partita Padova – Atalanta era
Cristiano Doni.
Il Doni, come evidenziato dall’ordinanza ora citata, si avvaleva per la manipolazione delle
gare di un gruppo di persone che faceva capo allo stabilimento balneare di Cervia “I figli del Sole”.
Di tale gruppo, che costituiva un vero e proprio sistema di supporto stabile dell’attività concernente
la manipolazione delle partite da parte del Doni e che anzi lo sostituiva in quelle azioni ritenute più
“a rischio”, faceva parte anche Nicola Santoni. Questi, sempre secondo l’ordinanza sopra
richiamata, operava unitamente a Doni e ad altri soggetti tesserati e non tesserati, garantendo, anche
attraverso l’azione intermediatrice del sig. Gianfranco Parlato che curava i rapporti con altri soggetti
interessati alla manipolazione delle gare per via della loro attività di scommesse, interventi di
corruzione dei calciatori volti ad influenzare il risultato delle partite.
Per la manipolazione della gara Padova/Atalanta, sia il Doni che il Santoni, sono stati ritenuti
responsabili di illecito sportivo; il Doni, ai sensi dell’art.7, commi 1, 2, 5 e 6 dell’art. 6, comma 1,
C.G.S. e il Santoni, per violazione dell’art.7, commi 1, 2, 5 e 6. Il Doni, peraltro, ha ottenuto il
patteggiamento della sanzione in applicazione degli articoli 23 e 24 C.G.S. e quindi è stato
squalificato per 2 anni (da sommare alla precedente squalifica di 3 anni e 6 mesi). Al Santoni, in
continuazione della sanzione già inflittagli in precedenza di quattro anni, la squalifica è stata estesa
a cinque anni con preclusione da ogni rango della F.I.G.C..
L’appello proposto dal Santoni avverso la decisione della Commissione Disciplinare
Nazionale è infondato.
Anche per quanto concerne la gara Padova/Atalanta del 26 marzo 2011, infatti, vi è una serie
di elementi desumibili dall’atto di deferimento della Procura Federale precisi e concordanti che non
lasciano adito a dubbi in ordine al coinvolgimento del Santoni.
Tale partecipazione è affermata dalla già richiamata ordinanza del G.I.P. del Tribunale di
Cremona del 9 dicembre 2011 e trova riscontro nelle intercettazioni telefoniche effettuate
dall’Autorità Giudiziaria.
Dalle indagini esperite sulle gare dell’Atalanta poi risultate manipolate, si è accertato che il
modus operandi del gruppo che fa capo al Doni, e del quale, come si è già evidenziato, Santoni fa
parte, è sempre uguale e si ripete in occasione di tutte le gare che sono state oggetto di indagine.
Ovviamente il Doni, calciatore dell’Atalanta, è il centro di riferimento di tutte le manipolazioni
concernenti le gare di detta società ed è a lui che fanno capo tutti i soggetti coinvolti nelle combine.
Dall’esame dei comportamenti di tali soggetti si è verificato che, in tutti i casi oggetto di indagine,
immediatamente prima e subito dopo le gare si è riscontrato un fitto scambio di telefonate e di
messaggi sms. Ebbene, per quanto concerne il Santoni e la gara in esame, dagli accertamenti della
Squadra mobile di Cremona, effettuati nell’ambito delle indagini promosse dagli uffici giudiziari di
Cremona, si è appurato che immediatamente prima e subito dopo la gara Padova/Atalanta vi è stato
un nutrito scambio di telefonate e di sms tra Doni e Santoni. Tra i cellulari degli stessi è stato
accertato tra le 23’38 e le 23’53 uno scambio di ben 11 messaggi.
Va sottolineato che in questi scambi di telefonate e di messaggi telefonici, il Doni per lo più
utilizza una scheda telefonica, che inserisce e disinserisce nei suoi cellulari, intestata ad una
anagrafica rumena (P.I.) e pertanto ritenuta sicura perché non riconducibile alla sua persona.
Questo affaccendarsi con contatti telefonici che si tenta di mantenere segreti e quindi al riparo
da eventuali intercettazioni è uno degli elementi di fondamentale rilievo nella qualificazione e nella
valutazione della condotta dei soggetti interessati come preordinata ad attività illecite.
Nella già richiamata ordinanza del G.I.P. di Cremona si conferma l’utilizzo della scheda in
questione nei colloqui telefonici tra il Doni e Il Santoni intercorsi a cavallo della gara
Padova/Atalanta.
Da quanto precede emerge chiaramente la partecipazione alla combine del Santoni che, anche
in relazione alla gara in esame, tiene un comportamento simile a quello già accertato da lui tenuto
in occasione di altre gare oggetto di manipolazione con la sua partecipazione, dovendosi
logicamente ascrivere ad una situazione di complicità la effettuazione di tanti colloqui con il Doni
(con la ricerca della non intercettabilità) a ridosso delle partite oggetto di combine.
La partecipazione del Santoni a tale combine è desumibile anche per via logica da altre sue
dichiarazioni oggetto di intercettazioni.
Nella già citata ordinanza del G.I.P. di Cremona del 9 dicembre 2011, nell’ambito cioè del
nuovo filone di indagini che ha dato luogo al presente procedimento e in particolare dalle
intercettazioni telefoniche acquisite, emerge che il gruppo facente parte dello stabilimento balneare
di Cervia, ossia il gruppo che fa capo al Doni, temendo un cedimento da parte dello stesso Santoni
che minacciava di effettuare rivelazioni sulle attività illecite del gruppo, aveva posto in essere
un’azione calmieratrice nei confronti del Santoni onde evitare che questi potesse diventare una
“gola profonda” mettendo allo scoperto l’intero sistema. Ebbene, le possibili rivelazioni non
avrebbero potuto riguardare le gare per le quali Santoni, Doni ed altri soggetti erano stati già
sanzionati, ma evidentemente solo operazioni successive a quelle già oggetto degli organi della
giustizia sportiva.
Al riguardo assume rilievo anche la telefonata intercettata tra Santoni e altro soggetto (F.R.)
del 1° agosto 2011, nella quale il primo minaccia di “presentare una memoria alla Federazione
Calcio, spiegando tutti gli accadimenti” memoria “che avrebbe comportato la radiazione di tutti i
soggetti coinvolti”.
I rilievi che precedono, ad avviso della Corte, sono già da soli sufficienti a far ritenere il
Santoni compartecipe dell’alterazione del risultato della gara Padova – Atalanta rimessa nella fase
attuativa finale al Doni.
Altri elementi che supportano tale conclusione emergono poi dalla confutazione dei motivi
formulati dal Santoni nell’atto di appello.
L’esame dei motivi dedotti dal Santoni, infatti, conferma l’infondatezza dell’appello.
L’appellante, con un primo rilievo, si sofferma sulla motivazione della decisione impugnata
nel profilo con il quale la Commissione Disciplinare Nazionale afferma che l’appellante avrebbe
comunicato al Doni l’esistenza di una combine fra le due società, l’Atalanta e il Padova, per un
pareggio (“Santoni ha comunicato a Doni che vi era un accordo per il pareggio”) . Rileva
l’appellante che tale comunicazione non è mai stata effettuata, non rinvenendosi la stessa in nessun
atto del procedimento, così come in tali atti non si rinviene alcuna dichiarazione con la quale altri
soggetti indagati si riferiscono ad esso appellante in relazione alla gara in questione.
Il rilievo, ad avviso della Corte, non è idoneo ad intaccare il quadro probatorio fin qui
delineato sulle responsabilità del Santoni. E’ evidente infatti che la mancata menzione del Santoni
nelle dichiarazioni di altri soggetti coinvolti nel procedimento, mirando questi per lo più unicamente
a difendere se stessi, non possa essere considerata come prova dell’ estraneità dell’appellante ai
fatti.
Sta di fatto, poi, che i rapporti tra Doni e Santoni riguardo alle gare dell’Atalanta vanno ben al
di là di semplici rapporti notiziali essendo i due soggetti – come si è visto – entrambi interessati alle
combine da realizzare in favore di detta società. E’ appena il caso di rilevare, dunque, per confutare
il rilievo in esame, che lo stesso Doni nell’audizione davanti alla Procura Federale del 29 febbraio
2012, richiamata anche dal rilievo in esame, dichiara di ricevere dal Santoni notizie sulle gare che
avrebbero avuto un risultato favorevole per l’Atalanta.
E’ irrilevante in ordine alla posizione di Santoni quale delineata dal quadro probatorio sopra
sintetizzato anche la circostanza, prospettata in questo punto dell’appello, secondo cui “l’uomo di
Doni”, cioè la persona che per conto di questi aveva scommesso € 10.000,00 sulla gara
Padova/Atalanta non possa essere identificabile nella persona dell’appellante.
Quanto al riferimento alla dazione della somma di denaro al Parlato contenuto nella decisione
appellata – riferimento che l’appellante considera un gravissimo travisamento dei fatti a suo danno
– si osserva che esso ha solo la finalità di sottolineare il collegamento dell’attività posta in essere
dal Santoni relativamente alla gara in contestazione con l’azione illecita svolta in precedenza, quasi
in continuazione di questa. In sostanza, la decisione appellata intende con tale riferimento far
risaltare l’esistenza di rapporti ripetuti e consolidati con un altro partecipe al sistema degli illeciti e
delle scommesse. Nella decisione, infatti, non vi è alcun riferimento a somme di danaro date per
l’alterazione della gara Padova/Atalanta ma ad una somma di denaro data in precedenza.
Contrariamente a quanto afferma l’appellante non vi è alcun accenno nella decisione alla somma di
€ 30.000,00 data dal Santoni al Parlato. Di erogazioni di danaro dal Santoni al Parlato si fa invece
riferimento nella decisione di questa Corte inerente all’illecito commesso dal Santoni in relazione
alla gara Atalanta/Piacenza ma anche in quella decisione non si fa alcun riferimento ad una somma
di € 30.000,00, ponendosi in dubbio se fossero stati dati al Parlato € 40.000,00 o € 15.000,00. Erra
pertanto l’appellante quando afferma che la somma consegnata al Parlato “ al casello autostradale di
Parma” sarebbe stata inesattamente indicata dalla decisione qui appellata come prova della
partecipazione dell’appellante alla combine Padova/Atalanta.
Anche un secondo profilo del motivo di appello in esame non raggiunge lo scopo di
scagionare l’appellante in quanto anzi assume la valenza di una conferma di alcuni elementi posti a
fondamento dell’accusa.
Secondo l’appellante, trattandosi di dichiarazioni e comportamenti verificatisi dopo
l’effettuazione della gara Padova – Atalanta non avrebbero potuto in alcun modo incidere sul
risultato di questa già disputata e quindi non dovrebbero costituire prova dell’alterazione di tale
gara: il fatto che “Doni Cristiano, preoccupato per gli sviluppi dell’inchiesta (anche della Procura
Federale) sul calcio scommesse, si adopera per recuperare il danaro necessario a Santoni Nicola
per pagare il legale di quest’ultimo”; la conversazione del 23 agosto 2001 in cui A.E. afferma: “ha
detto che devi stare tranquillo perché quando si sistema tutto, per tutti e due ti mette a posto”; il
fatto che B.A. abbia dichiarato di avere scommesso sulla gara Padova/Atalanta; il fatto che Doni
abbia ammesso di essersi “attivato per verificare l’esistenza di un accordo finalizzato al
conseguimento di un pareggio tra le due squadre”; il fatto, peraltro sempre negato dall’appellante,
che il Doni avrebbe consegnato nel mese di agosto 2011 all’amico (Santoni) una rilevante somma
di danaro.
E’ vero che si tratta di dichiarazioni e comportamenti successivi ma è altrettanto vero che, al
contrario di quanto sostiene l’appellante, essi possono essere spiegati e giustificati solo se a monte è
stata effettivamente commessa da parte dei soggetti interessati l’azione illecita di cui sono
incolpati. Il rilievo assume addirittura una valenza confessoria.
Non è veritiera, infine, l’affermazione dell’appellante secondo cui tra lui e il Doni non vi
sarebbe stato quel “frenetico scambio di telefonate” di cui parla la Procura Federale ma due sole
telefonate in data 24 marzo 2011 di cui la prima dalle 14:06:43 alle 14:08:25 e la seconda
dalle14:10:20 alle 14:14:03, che, anzi, essendo così ravvicinate forse costituiscono, sempre secondo
l’appellante, un’unica telefonata effettuata tra auto in movimento.
Tale affermazione risulta smentita dalle intercettazioni effettuate dalla Squadra mobile di
Cremona che ha rilevato, come si è accennato più indietro, un fitto scambio di telefonate e sms tra il
Doni e il Santoni prima e dopo la partita e immediatamente a ridosso di questa.
Gli SMS sono stati ben 11 nell’arco di circa 14 minuti (ore 23:38:50 – 23:39:51 – 23:40:10 –
23:47:02 – 23:48:07 – 23:49:30 – 23:50:25 -23:51:59 – 23:52:34 – 23:52:47 – 23:53:12).
Sempre la Squadra Mobile di Cremona ha accertato dai tabulati di traffico telefonico anche
una conversazione subito dopo lo scambio degli SMS che è durata dalle 23:53:50 alle 23:59:30. In
tale telefonata il Santoni adotta la precauzione di utilizzare una diversa utenza cellulare. Anche il
giorno successivo vengono rilevati altri contatti telefonici tra Doni e Santoni. Ad integrazione di
quanto ora rappresentato, si segnalano anche le numerose telefonate – accertate sempre dalla
Squadra Mobile di Cremona – intercorse tra Doni e Santoni nei giorni precedenti la partita.
E’ ovvio che il contenuto degli sms e delle telefonate non sia noto ma è indubbio che non
possa essere ricondotto a semplici conversazioni amichevoli come sostiene l’appellante, tenuto
conto sia del loro numero, sia del fatto che siano state effettuate a ridosso della gara in questione,
utilizzando per lo più “utenze riservate”.
Con il secondo e il terzo motivo, l’appellante, richiamando alcune decisioni di questa Corte e
la giurisprudenza del Giudice Ordinario deduce l’erronea valutazione da parte della Procura
Federale del materiale probatorio acquisito in quanto non si configurerebbe nessun atto del Santoni
che possa essere annoverato tra quelli caratterizzanti un illecito sportivo che esige,
indipendentemente dal conseguimento di un vantaggio, l’univocità e l’idoneità degli atti finalizzati
allo scopo.
Il coinvolgimento del Santoni nella combine – realizzata e non solo tentata – è pienamente
provato dai fatti delineati ai punti precedenti rispetto ai quali l’appellante in opposizione non ha
potuto contrapporre alcun elemento, tanto sono convergenti ed univoci e tali da consentire di
affermare la partecipazione dell’appellante all’illecito. La ricostruzione di questo operata dalla
Procura Federale e la partecipazione del Santoni non possono essere confutate in astratto, cioè con
argomentazioni unicamente teoriche, come si pretende con i due motivi in esame per la mancanza
di concreti elementi da opporre.
E’ del tutto irrilevante, infine, il rilievo mosso con il quarto motivo di appello per il quale
nella fattispecie non potrebbe configurarsi una combine per non essere stati individuati come
compartecipi ad essa calciatori del Padova. Ma la mancata individuazione di altri soggetti alla
combine non esclude di per sé la responsabilità di coloro che sono stati con certezza individuati
come autori dell’illecito. Nella specie la combine per un risultato di parità è stata sicuramente
realizzata. Lo stesso Doni, calciatore dell’Atalanta, non avrebbe certamente scommesso €
10.000,00 su tale risultato se questo non fosse stato concordato.
Deve respingersi anche l’ultimo mezzo d’impugnativa, con il quale l’appellante denuncia
come eccessiva la pena irrogatagli.
La Corte ritiene adeguata la sanzione irrogata dalla Commissione Disciplinare Nazionale
tenuto conto della gravità del fatto e dei precedenti del tesserato.
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Nicola
Santoni e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
31) RICORSO DEL CALC. RUBEN GARLINI AVVERSO LA SANZIONE DELLA
SQUALIFICA PER ANNI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, 5 E 6
C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA RIMINI – ALBINOLEFFE DEL 20.12.2008,
SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-
12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n.
101/CDN del 18.6.2012)
Con atto dell’8 maggio 2012, il Procuratore Federale deferiva, tra gli altri, alla Commissione
Disciplinare, unitamente alle società U.C. Albinoleffe S.r.l. e A.C. Rimini 1912 S.r.l., il Sig. Carlo
Gervasoni, il Sig. Filippo Carobbio, il Sig. Nicola Ferrari, il Sig. Mirco Poloni, il Sig. Ruben
Garlini, il Sig. Francesco Ruopolo (all’epoca dei fatti, tutti calciatori tesserati della società U.C.
Albinoleffe S.r.l.) ed il Sig. Daniele Vantaggiato (all’epoca dei fatti calciatore tesserato della società
A.C. Rimini 1912 S.r.l.) per la violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5 C.G.S., per aver, prima della
gara Rimini/Albinoleffe del 20 dicembre 2008, in concorso tra loro e con altri soggetti non tesserati
e altri allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato
della predetta partita, prendendo contatti diretti e incontrandosi di persona al fine di porre in essere
atti finalizzati allo scopo sopra indicato.
In particolare, al Sig. Garlini veniva contestato di aver accettato la proposta del Sig.
Gervasoni e di aver consentito che quest’ultimo, in nome e nell’interesse anche del Sig. Garlini
medesimo, proponesse la combine ai calciatori avversari.
Nel corso delle udienze davanti alla Commissione Disciplinare, i deferiti respingevano le
accuse.
Con decisione pubblicata in data 18 giugno 2012, la Commissione Disciplinare dichiarava
tutti i deferiti colpevoli delle violazioni loro ascritte e condannava, per quel che qui interessa, il Sig.
Garlini alla squalifica per 3 anni.
I Giudici di prime cure ritenevano raggiunta la prova che la gara in questione fosse stata
oggetto di un tentativo di combine posto in essere, tra gli altri, anche dal Sig. Garlini, il quale
avrebbe preso parte, insieme con gli altri deferiti, al progetto di portare avanti il tentativo di alterare
il risultato della gara in modo da conseguire un pareggio. Secondo la Commissione, la credibilità
delle dichiarazioni del Sig. Gervasoni risulterebbe, altresì, dalla circostanza per cui il Sig. Garlini
veniva citato anche da un altro soggetto in relazione ad un’altra gara e, precisamente, dal Sig.
Carrobbio in relazione alla gara Albinoleffe/Siena del 29 maggio 2011.
Infine, per quel che qui interessa, la Commissione Disciplinare Nazionale precisava
l’infondatezza dell’eccezione proposta dal difensore del Sig. Garlini, il quale sosteneva che al
deferito non sarebbe stato chiesto alcunché in ordine alla gara oggetto di esame e che,
conseguentemente, quest’ultimo non ha potuto difendersi sul punto. In realtà, la Commissione
sosteneva che, indipendentemente dalle domande formulate dalla Procura Federale, il Sig. Garlini
ben avrebbe potuto chiarire la propria posizione in ordine alla suddetta gara e se ciò non ha fatto
imputet sibi.
Contro la predetta sentenza della Commissione Disciplinare, il Sig. Garlini ha proposto
ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Federale, chiedendone l’integrale riforma.
In particolare, la difesa del Sig. Garlini contesta come la decisione della Commissione
Disciplinare si sia basata esclusivamente sulle dichiarazioni del solo Sig. Gervasoni, il quale, tra
l’altro, aveva accennato alla combine della gara oggetto di contestazione ed alla partecipazione del
Sig. Garlini stesso soltanto nell’interrogatorio avvenuto in data 12 marzo 2012 dinanzi alla Procura
della Repubblica.
Inoltre, a detta del Sig. Garlini, (i) nessuno degli altri tesserati interrogati sulla gara in
questione avrebbe confermato le dichiarazioni del Sig. Gervasoni sul calciatore deferito, (ii) il Sig.
Ruopolo avrebbe dichiarato che il Sig. Gervasoni non gli avrebbe mai comunicato il nome dei
calciatori coinvolti nel presunto tentativo di combine, (iii) il Sig. Garlini non sarebbe stato
interessato dall’inchiesta penale condotta dalla Procura di Cremona, da cui, peraltro, non è mai stato
ascoltato, né avrebbe potuto immaginare di esservi coinvolto, (iv) inaccettabili ed inconferenti
sarebbero le valutazioni elaborate dalla Procura Federale secondo cui l’attendibilità delle
dichiarazioni del Sig. Gervasoni sarebbe rafforzata dalla constatazione che Garlini fosse stato citato
anche con riferimento ad un’altra gara, tra l’altro, oggetto di nessun accertamento da parte
dell’Autorità Giudiziaria o Sportiva, (v) non sarebbe stata fornita la cd. prova “oltre ogni
ragionevole dubbio” al fine di dimostrare la commissione di un illecito sportivo da parte sua.
All’udienza di questa Corte di Giustizia Federale, è presente l’Avv. Fiorillo, il quale si riporta
alle difese ed alle conclusioni contenute nel ricorso.
In relazione alla posizione del tesserato Ruben Garlini, la Corte ritiene opportuno premettere
che le dichiarazioni rilasciate dal tesserato Gervasoni, con riferimento alla gara Rimini/Albinoleffe
del 20 dicembre 2008, risultano essere del tutto attendibili, perché estremamente dettagliate in
ordine a circostanze e a nomi dei soggetti coinvolti e, in parte, confermate da altri tesserati (il
tesserato Ferrari ha confermato l’episodio, riferito anche dal Gervasoni, della lamentela, nel post –
partita, da parte di quest’ultimo nei confronti del tesserato Vantaggiato).
Tali dichiarazioni, pertanto, devono ritenersi credibili, anche perché aventi natura
autoaccusatoria e rivolte nei confronti di taluni soggetti con cui non risulta che Gervasoni avesse
alcun tipo di astio o risentimento diretto a giustificare con altre ragioni la chiamata in correità.
Con riferimento ai fatti oggetto di dette dichiarazioni, la Corte, peraltro, osserva che gli stessi
siano sufficienti a provare il coinvolgimento del tesserato Garlini nel tentativo di combine della
gara sopra ricordata.
Ed, invero, secondo quanto riferito dal Gervasoni, quest’ultimo, in relazione all’anzidetta
gara, si è fatto promotore, inizialmente con i propri compagni di squadra (tra cui il Garlini) e
successivamente contattando un tesserato della squadra avversaria, di una combine.
In particolare, il Gervasoni, in sede di interrogatorio innanzi all’A.G. di Cremona, in data 12
marzo 2012, riferiva quanto segue: “Già c’era stato un precedente tentativo da parte mia di
combinare la partita Rimini/Albinoleffe del 20 dicembre 2008, terminata 1 a 1. Ricordo che,
parlando negli spogliatoi con diversi miei compagni di squadra della persona svizzera (alludevo a
G.A. che era in grado di pagare eventuali risultati combinati), si decise che io avrei portato avanti
questo tentativo. Ricordo che ne parlai con Carobbio, Ferrari, Poloni, Garlini e la maggior parte dei
componenti della squadra, che erano d’accordo in ordine alla combine su un possibile pareggio.
Pertanto, andai a Rimini nella settimana antecedente alla partita e contattai Vantaggiato Daniele che
tuttavia non si dichiarò disponibile. Un suo amico che lo accompagnava nell’occasione del contatto
rilanciò il possibile accordo nel senso che noi avremmo dovuto perdere oltre che pagare dei soldi.
Pertanto non si concluse assolutamente nulla”.
Tale dichiarazione, peraltro ribadita dal Gervasoni anche in sede di audizione innanzi alla
Procura Federale, conferma non solo il fatto che lo stesso Gervasoni avesse proposto ad alcuni
compagni di squadra la combine in questione, assicurando il pagamento di un compenso, ma anche
e soprattutto che detti soggetti “erano d’accordo”.
E proprio dopo aver raccolto l’adesione dei propri compagni di squadra, condizione
imprescindibile per dar corso al contestato illecito, il Gervasoni ha contattato il tesserato
Vantaggiato della squadra avversaria per portare a compimento il proprio progetto.
L’attendibilità delle dichiarazioni rese dal Gervasoni, come già accennato, è anche
comprovata dal fatto che uno degli episodi da questi riferito è stato confermato dal tesserato Ferrari
innanzi alla Procura Federale in data 24 aprile 2012.
In particolare, il Ferrari così affermava: “Rammento solo che, dopo la partita, sentii parlare
Gervasoni di Vantaggiato […] Gervasoni si lamentava di Vantaggiato dicendo che gli aveva fatto
perdere dei soldi”.
Del pari, il tesserato Rupolo, nelle dichiarazioni rilasciate in data 7 marzo 2012, dopo aver
detto di essere stato avvicinato da Gervasoni, che gli aveva riferito, in buona sostanza, che, grazie ai
suoi contatti, sarebbe andato a Rimini per contattare i giocatori avversari al fine di concordare un
pareggio, affermava: “Preciso che non mi riferì neanche il nome dei giocatori coinvolti. Il fatto che
la partita, nonostante il mio regolare impegno nella gara, avesse prodotto il risultato previsto di 1 -
1, avvalorò in me la convinzione che effettivamente Gervasoni avesse la possibilità di combinare le
gare a cui partecipava”.
Da ultimo, si ricorda che ancora il Gervasoni, ascoltato dalla Procura Federale in data 13
aprile 2012, precisava, tra l’altro, che “i giocatori che ho citato (tra cui evidentemente Garlini n.d.r.)
erano d’accordo per la proposta di combine ai calciatori del Rimini ….” e che, non avendo
successivamente trovato l’accordo con il calciatore Vantaggiato, “tornato a Bergamo l’indomani
riferii la cosa ai miei compagni”.
E’, pertanto, di tutta evidenza che il Garlini, parte del gruppo di giocatori che, avvicinati dal
Gervasoni, si dissero d’accordo sulla combine dell’incontro in esame, abbia posto in essere atti
diretti ad alterare il regolare svolgimento della gara oggetto del presente procedimento.
Con riferimento alla posizione del tesserato Garlini, proprio per dare un quadro completo ed
anche per ulteriormente confermare l’attendibilità di quanto affermato dal Gervasoni, si ricorda che
lo stesso Garlini veniva chiamato in causa dal tesserato Carobbio in relazione ad una possibile
combine per la gara Albinoleffe/Siena del 29 maggio 2011 (“Ne parlai con Garlini, un senatore
dell’Albinoleffe, e con ….., mostrarono la loro disponibilità”).
E’ pur vero che tale gara non è stata oggetto di alcun pronunciamento da parte degli Organi di
Giustizia Sportiva, ma la menzione del nome del Garlini da parte di Rupolo rafforza in ogni caso il
convincimento della Corte in ordine al fatto che il medesimo Garlini fosse parte di un gruppo di
tesserati disponibili a dar corso a combine di gare sportive cui partecipavano.
In questo contesto probatorio particolarmente dettagliato, risultano del tutto irrilevanti alcune
circostanze riferite dalla difesa del Garlini in sede di ricorso, circostanze che, infatti, non incidono
minimamente sulla sostanza della vicenda che qui ci occupa.
La Corte si riferisce, in particolare, al fatto che il Gervasoni abbia riferito quanto sopra
ricordato solo in un secondo momento e che tutti i tesserati coinvolti nella combine in questione non
20
abbiano confermato la veridicità delle dichiarazioni del medesimo Gervasoni, mancata
omissionequest’ultima diretta verosimilmente a non trasformare le esternazioni di tali tesserati in
affermazioni confessorie.
Parimenti irrilevanti risultano essere le circostanze secondo cui il Garlini:
- non sia stato coinvolto nell’inchiesta penale condotta dalla Procura di Cremona, posto che
detto coinvolgimento non rappresenta un presupposto necessario per una condanna in sede sportiva;
- non sia stato ascoltato dalla Procura Federale con riferimento alla gara in esame, posto che
da un lato il medesimo Garlini, in sede di audizione, come correttamente rilevato dal primo Organo
giudicante, ben avrebbe potuto chiarire la sua situazione e dall’altro perché anche in questo caso
tale passaggio non è condizione fondamentale per una condanna in sede sportiva.
In considerazione di quanto sopra, la Corte considera raggiunta la prova del coinvolgimento
del tesserato Garlini in relazione all’illecito sportivo posto in essere con riferimento alla gara
Rimini/Albinoleffe del 20 dicembre 2008.
In particolare, tale coinvolgimento risulta essere provato dalle circostanze sopra evidenziate,
anche in virtù del fatto che, per irrogare una condanna di un illecito sportivo, è sufficiente un grado
di prova superiore al generico livello probabilistico, non essendo necessaria, al contrario, né la
certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né il superamento del ragionevole dubbio:
ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di garantire, attraverso una rapida e certa
repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle gare e, per essa, i fondamentali valori
giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle competizioni (da ultimo, TNAS, Signori / FIGC
del 15.9.2011; Amodio / FIGC del 6/12/2011; Spadavecchia / FIGC del 2/1/2012).
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Ruben
Garlini e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
32) RICORSO DEL CALC. NICOLA FERRARI AVVERSO LA SANZIONE DELLA
SQUALIFICA PER ANNI 3, INFLITTA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, 5
E 6, C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA RIMINI – ALBINOLEFFE DEL 20.12.2008,
SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-
12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n.
101/CDN del 18.6.2012)
Con atto dell’8 maggio 2012, il Procuratore Federale deferiva, tra gli altri, alla Commissione
Disciplinare, unitamente alle società U.C. Albinoleffe S.r.l. e A.C. Rimini 1912 S.r.l., il Sig. Carlo
Gervasoni, il Sig. Filippo Carobbio, il Sig. Nicola Ferrari, il Sig. Mirco Poloni, il Sig. Ruben
Garlini, il Sig. Francesco Ruopolo (all’epoca dei fatti, tutti calciatori tesserati della società U.C.
Albinoleffe S.r.l.) ed il Sig. Daniele Vantaggiato (all’epoca dei fatti calciatore tesserato della società
A.C. Rimini 1912 S.r.l.) per la violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5 C.G.S., per aver, prima della
gara Rimini/Albinoleffe del 20 dicembre 2008, in concorso tra loro e con altri soggetti non tesserati
e altri allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato
della predetta partita, prendendo contatti diretti e incontrandosi di persona al fine di porre in essere
atti finalizzati allo scopo sopra indicato.
In particolare, al Sig. Ferrari veniva contestato di aver accettato la proposta del Sig.
Gervasoni e di aver consentito che quest’ultimo, in nome e nell’interesse anche del Sig. Ferrari
medesimo, proponesse la combine ai calciatori avversari.
Nel corso delle udienze davanti alla Commissione Disciplinare Nazionale, i deferiti
respingevano le accuse.
Con decisione pubblicata in data 18 giugno 2012, la Commissione Disciplinare dichiarava
tutti i deferiti colpevoli delle violazioni loro ascritte e condannava, per quel che qui interessa, il Sig.
Ferrari alla squalifica per 3 anni.
I Giudici di prime cure ritenevano raggiunta la prova che la gara in questione fosse stata
oggetto di un tentativo di combine posto in essere, tra gli altri, anche dal Sig. Ferrari, il quale
avrebbe preso parte, insieme con gli altri deferiti, al progetto di portare avanti il tentativo di alterare
il risultato della gara in modo da conseguire un pareggio. In merito alla posizione del Sig. Ferrari, la
Commissione rilevava, altresì, che la circostanza per cui il ricorrente fosse in contrasto con la
propria società e giocasse poco non escluderebbe a priori che lo stesso abbia partecipato ai fatti
oggetto di contestazione.
Contro la predetta sentenza della Commissione Disciplinare Nazionale, il Sig. Ferrari ha
proposto ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Federale, chiedendone l’integrale riforma. In
particolare, la difesa del Sig. Ferrari insiste per l’estraneità di quest’ultimo alle ipotesi di illecito
contestate e ribadisce la assoluta credibilità delle deposizioni rese dallo stesso ricorrente in sede di
interrogatorio dinanzi alla Procura Federale, anche in considerazione dell’atteggiamento di
trasparenza e sincerità assunto dal calciatore.
Al contrario, del tutto inattendibili sarebbero le dichiarazioni rese dal Sig. Gervasoni, in
quanto le stesse non assumerebbero le connotazioni di precisione e certezza attribuibili a quelle
rilasciate in altre occasioni, dal momento che non fornirebbero alcun ulteriore elemento, oltre alla
presenza ed all’assenso alla combine da parte del Sig. Ferrari, che possa confermare la certezza
dell’assunto.
Il Sig. Ferrari, sul punto, aggiunge, altresì, (i) che il Sig. Ruopolo avrebbe smentito le
modalità di approccio del Sig. Gervasoni con i compagni di squadra, (ii) che gli altri giocatori
coinvolti (Garlini, Poloni e Carobbio) non sarebbero stati mai ascoltati, nonostante la deposizione di
quest’ultimi avrebbe potuto essere utile ai fini del decidere, (iii) che il nome del Sig. Ferrari non
sarebbe stato citato da nessun altro, (iv) che, se effettivamente il Sig. Ferrari avesse preso parte alla
combine in relazione alla partita oggetto di contestazione, sarebbe ragionevole supporre che lo
stesso avesse preso parte anche alle combine relative alle partite successive, per le quali, però, il
ricorrente stesso non è stato deferito. In ragione di tutto quanto sopra, la difesa del Sig. Ferrari
afferma la assoluta assenza di un indice di gravità, precisione e concordanza che possa essere
ricollegato ad una presunta responsabilità di quest’ultimo per i fatti che gli sono stati addebitati.
All’udienza di questa Corte di Giustizia Federale, è presente l’Avv. Stefano Bosio, il quale
si riporta alle difese ed alle conclusioni contenute nel ricorso e deposita copia di un messaggio sms
inviato dal tesserato Carobbio al ricorrente.
In relazione alla posizione del tesserato Nicola Ferrari, la Corte ritiene opportuno premettere
che le dichiarazioni rilasciate dal tesserato Gervasoni, con riferimento alla gara Rimini/Albinoleffe
del 20 dicembre 2008, risultano essere del tutto attendibili, perché estremamente dettagliate in
ordine a circostanze e a nomi dei soggetti coinvolti e, in parte, ribadite dallo stesso ricorrente, il
quale ha confermato l’episodio, riferito anche dal Gervasoni, della lamentela, nel post – partita, da
parte di quest’ultimo nei confronti del tesserato Vantaggiato.
Tali dichiarazioni, pertanto, devono ritenersi credibili, anche perché aventi natura
autoaccusatoria e rivolte nei confronti di taluni soggetti con cui non risulta che Gervasoni avesse
alcun tipo di astio o risentimento diretto a giustificare con altre ragioni la chiamata in correità (in
particolare, secondo la difesa del ricorrente, tra quest’ultimo e Gervasoni “esisteva unicamente un
normale rapporto tra colleghi e compagni”).
Con riferimento ai fatti oggetto di dette dichiarazioni, la Corte, peraltro, osserva che gli
stessi siano sufficienti a provare il coinvolgimento del tesserato Ferrari nel tentativo di combine
della gara sopra ricordata.
Ed, invero, secondo quanto riferito dal Gervasoni, quest’ultimo, in relazione all’anzidetta
gara, si è fatto promotore, inizialmente con i propri compagni di squadra (tra cui il Ferrari) e
successivamente contattando un tesserato della squadra avversaria, di una combine.
In particolare, il Gervasoni, in sede di interrogatorio innanzi all’A.G. di Cremona, in data 12
marzo 2012, riferiva quanto segue: “Già c’era stato un precedente tentativo da parte mia di
combinare la partita Rimini/Albinoleffe del 20 dicembre 2008, terminata 1 a 1. Ricordo che,
parlando negli spogliatoi con diversi miei compagni di squadra della persona svizzera (alludevo a
G.A. che era in grado di pagare eventuali risultati combinati), si decise che io avrei portato avanti
questo tentativo. Ricordo che ne parlai con Carobbio, Ferrari, Poloni, Ferrari e la maggior parte dei
componenti della squadra, che erano d’accordo in ordine alla combine su un possibile pareggio.
Pertanto, andai a Rimini nella settimana antecedente alla partita e contattai Vantaggiato Daniele che
tuttavia non si dichiarò disponibile. Un suo amico che lo accompagnava nell’occasione del contatto
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rilanciò il possibile accordo nel senso che noi avremmo dovuto perdere oltre che pagare dei soldi.
Pertanto non si concluse assolutamente nulla”.
Tale dichiarazione, peraltro ribadita dal Gervasoni anche in sede di audizione innanzi alla
Procura Federale, conferma non solo il fatto che lo stesso Gervasoni avesse proposto ad alcuni
compagni di squadra la combine in questione, assicurando il pagamento di un compenso, ma anche
e soprattutto che detti soggetti “erano d’accordo”.
E proprio dopo aver raccolto l’adesione dei propri compagni di squadra, condizione
imprescindibile per dar corso al contestato illecito, il Gervasoni ha contattato il tesserato
Vantaggiato della squadra avversaria per portare a compimento il proprio progetto.
L’attendibilità delle dichiarazioni rese dal Gervasoni, come già accennato, è anche
comprovata dal fatto che uno degli episodi da questi riferito è stato confermato dal ricorrente in
sede di audizione innanzi alla Procura Federale in data 24 aprile 2012.
In particolare, il Ferrari così affermava: “Rammento solo che, dopo la partita, sentii parlare
Gervasoni di Vantaggiato […] Gervasoni si lamentava di Vantaggiato dicendo che gli aveva fatto
perdere dei soldi”.
Del pari, il tesserato Rupolo, nelle dichiarazioni rilasciate in data 7 marzo 2012, dopo aver
detto di essere stato avvicinato da Gervasoni, che gli aveva riferito, in buona sostanza, che, grazie ai
suoi contatti, sarebbe andato a Rimini per contattare i giocatori avversari al fine di concordare un
pareggio, affermava: “Preciso che non mi riferì neanche il nome dei giocatori coinvolti. Il fatto che
la partita, nonostante il mio regolare impegno nella gara, avesse prodotto il risultato previsto di 1 -
1, avvalorò in me la convinzione che effettivamente Gervasoni avesse la possibilità di combinare le
gare a cui partecipava”.
Da ultimo, si ricorda che ancora il Gervasoni, ascoltato dalla Procura Federale in data 13
aprile 2012, precisava, tra l’altro, che “i calciatori che ho citato (tra cui evidentemente Ferrari n.d.r.)
erano d’accordo per la proposta di combine ai calciatori del Rimini ….” e che, non avendo
successivamente trovato l’accordo con il calciatore Vantaggiato, “tornato a Bergamo l’indomani
riferii la cosa ai miei compagni”.
E’, pertanto, di tutta evidenza che il Ferrari, parte del gruppo di calciatori che, avvicinati dal
Gervasoni, si dissero d’accordo sulla combine dell’incontro in esame, abbia posto in essere atti
diretti ad alterare il regolare svolgimento della gara oggetto del presente procedimento.
In questo contesto probatorio particolarmente dettagliato, risultano del tutto irrilevanti
alcune circostanze riferite dalla difesa del Ferrari in sede di ricorso, circostanze che, infatti, non
incidono minimamente sulla sostanza della vicenda che qui ci occupa.
La Corte si riferisce, in particolare, al fatto che il Gervasoni abbia riferito quanto sopra
ricordato solo in un secondo momento, perché l’elemento temporale non risulta essere decisivo al
fine di stabilire il grado di attendibilità dello stesso Gervasoni, e che tutti i tesserati coinvolti nella
combine in questione non abbiano confermato la veridicità delle dichiarazioni di quest’ultimo,
mancata conferma diretta verosimilmente a non trasformare le esternazioni di tali tesserati in
affermazioni confessorie.
La Corte si riferisce anche a quanto affermato dalla difesa del ricorrente in ordine
all’attendibilità di tutte le dichiarazioni rilasciate dal Ferrari (ivi comprese quelle in cui lo stesso
nega ogni coinvolgimento nella combine in questione) per aver lo stesso riferito di aver assistito alle
lamentele del Gervasoni nei confronti di Vantaggiato.
A tal proposito, la Corte ritiene che queste ultime dichiarazioni, ritenute del tutto attendibili
anche perché relative ad un episodio che è pacificamente avvenuto, non possono, però, provare
alcuna attendibilità assoluta rispetto a quanto riferito dal tesserato Ferrari, perché aventi ad oggetto
appunto un episodio che non ha visto protagonista quest’ultimo e che, quindi, non incide in alcun
modo sulla sua posizione, che, invece, poteva essere compromessa da ammissioni o affermazioni
dirette a provare il coinvolgimento del medesimo tesserato Ferrari nell’atto illecito in questione.
In ordine alla presunta “assenza di ulteriori (oltre alle dichiarazioni di Gervasoni n.d.r.)
elementi” a supporto delle accuse rivolte al ricorrente, la Corte, oltre a quanto sopra osservato,
ritiene che, in realtà, quanto riportato dal tesserato Gervasoni, proprio, come si ripete, in ragione dei
dettagli forniti e soprattutto dal passaggio in cui afferma che i propri compagni di squadra, tra cui
Ferrari, erano d’accordo, sia sufficiente a provare il coinvolgimento di quest’ultimo nella combine
in esame.
Secondo la Corte, inoltre, appare irrilevante, perché non incide sulla sostanza dei fatti posti a
base dell’accusa rivolta a Ferrari, il fatto che il tesserato Rupolo affermi di essere stato contattato
autonomamente (e non, quindi, come affermato da Gervasoni, con gli altri compagni di squadra tra
cui il Ferrari) dal Gervasoni.
Detta apparente contraddizione rispetto a quanto riferito da Gervasoni, infatti, come si
ripete, non incide sulla sostanza e sull’attendibilità delle dichiarazioni rilasciate da quest’ultimo in
ordine agli accadimenti di cui si tratta.
Parimenti irrilevante risulta essere la mancata audizione, in relazione alla gara in questione,
dei tesserati Garlini, Poloni e Carobbio da un lato per quanto già rilevato sul punto dalla Procura
(pag. 28 Relazione) e dall’altro perché, visto il coinvolgimento diretto di tali soggetti, è verosimile
che gli stessi non avrebbero rilasciato alcuna dichiarazione rilevante anche solo in relazione alla
posizione del tesserato Ferrari.
Ancora irrilevante appare, altresì, la circostanza secondo cui il Ferrari non risulti coinvolto
in nessun altra combine e non avesse un ruolo di primo piano nella squadra, essendo sufficiente, ai
fini della valutazione della sua posizione e ai sensi dell’ordinamento vigente, anche la
partecipazione ad un solo atto illecito, indipendentemente, peraltro, dell’importanza del tesserato
all’interno del club di appartenenza.
Irrilevante ai fini della presente decisione è, infine, anche il messaggio SMS inviato da
Carobbio a Ferrari e versato in atti dalla difesa del ricorrente in sede di udienza.
In considerazione di quanto sopra, la Corte considera raggiunta la prova del coinvolgimento
del tesserato Ferrari in relazione all’illecito sportivo posto in essere con riferimento alla gara
Rimini/Albinoleffe del 20 dicembre 2008.
In particolare, tale coinvolgimento risulta essere provato dalle circostanze sopra evidenziate,
anche in virtù del fatto che, per irrogare una condanna di un illecito sportivo, è sufficiente un grado
di prova superiore al generico livello probabilistico, non essendo necessaria, al contrario, né la
certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né il superamento del ragionevole dubbio:
ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di garantire, attraverso una rapida e certa
repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle gare e, per essa, i fondamentali valori
giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle competizioni (da ultimo, TNAS, Signori/FIGC del
15.9.2011; Amodio/FIGC del 6/12/2011; Spadavecchia/FIGC del 2/1/2012).
Si precisa, da ultimo, che la richiesta di ammissione di prova testimoniale contenuta nel
ricorso in oggetto, peraltro non reiterata in udienza dal difensore del ricorrente, doveva, comunque,
essere considerata inammissibile per mancata articolazione di specifici capitoli di prova e mancata
presenza in aula dei testimoni indicati.
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Nicola
Ferrari e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
33) RICORSO DEL CALC. DANIELE VANTAGGIATO AVVERSO LA SANZIONE
DELLA SQUALIFICA PER ANNI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, 5 E
6 C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA RIMINI – ALBINOLEFFE DEL 20.12.2008,
SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-
12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n.
101/CDN del 18.6.2012)
Con atto dell’8 maggio 2012, il Procuratore Federale deferiva, tra gli altri, alla Commissione
Disciplinare Nazionale, unitamente alle società U.C. Albinoleffe S.r.l. e A.C. Rimini 1912 S.r.l., il
Sig. Carlo Gervasoni, il Sig. Filippo Carobbio, il Sig. Nicola Ferrari, il Sig. Mirco Poloni, il Sig.
Ruben Garlini, il Sig. Francesco Ruopolo (all’epoca dei fatti, tutti calciatori tesserati della società
U.C. Albinoleffe S.r.l.) ed il Sig. Daniele Vantaggiato (all’epoca dei fatti calciatore tesserato della
società A.C. Rimini 1912 S.r.l.) per la violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5 C.G.S., per aver, prima
della gara Rimini – Albinoleffe del 20 dicembre 2008, in concorso tra loro e con altri soggetti non
tesserati e altri allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il
risultato della predetta partita, prendendo contatti diretti e incontrandosi di persona al fine di porre
in essere atti finalizzati allo scopo sopra indicato.
In particolare, al Sig. Vantaggiato veniva contestato di essersi fatto latore presso i compagni
di squadra della proposta avanzata dal Sig. Gervasoni, con la conseguenza che il comportamento del
ricorrente è stato prodromico alla realizzazione della combine e necessario per la valutazione del
buon fine della stessa.
Nel corso delle udienze davanti alla Commissione Disciplinare Nazionale, i deferiti
respingevano le accuse.
Con decisione pubblicata in data 18 giugno 2012, la Commissione Disciplinare dichiarava
tutti i deferiti colpevoli delle violazioni loro ascritte e condannava, per quel che qui interessa, il Sig.
Vantaggiato alla squalifica per 3 anni.
I Giudici di prime cure ritenevano raggiunta la prova che la gara in questione fosse stata
oggetto di un tentativo di combine posto in essere, tra gli altri, anche dal Sig. Vantaggiato, il quale
si sarebbe fatto latore presso i suoi compagni di squadra della proposta avanzata dal Sig. Gervasoni,
non rifiutando immediatamente l’offerta, ma dando una risposta negativa attraverso un amico,
peraltro, non identificato, solo dopo aver accertato la mancanza di disponibilità degli stessi
compagni di squadra.
In merito alla posizione del Sig. Vantaggiato, la Commissione riteneva non convincenti le
deduzioni del ricorrente medesimo sul presunto astio nutrito nei confronti di quest’ultimo dal Sig.
Gervasoni, dal momento che, in virtù di quanto emergerebbe dagli atti, il motivo del risentimento di
quest’ultimo risiederebbe proprio nel fatto che il Sig. Vantaggiato stesso non sarebbe stato
d’accordo per il pareggio, con conseguente perdita economica per il Sig. Gervasoni medesimo.
Contro la predetta sentenza della Commissione Disciplinare, il Sig. Vantaggiato ha proposto
ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Federale, chiedendone l’integrale riforma.
In particolare, la difesa del Sig. Vantaggiato lamenta, in primo luogo, come la Commissione
Disciplinare abbia fondato la propria decisione esclusivamente sulle dichiarazioni del Sig.
Gervasoni, dichiarazioni queste che, invece, presenterebbero clamorose e stridenti discrasie e
dicotomie.
A detta del Sig. Vantaggiato, invero, il Sig. Gervasoni, in un primo momento, avrebbe
asserito che il Sig. Vantaggiato avesse posto in essere un immediato e fermo diniego alla sua offerta
illecita, salvo poi, successivamente, rettificare completamente la propria dichiarazione, riferendo
alla Procura Federale che il proprio interlocutore avrebbe accettato di interpellare i propri compagni
di squadra. A tal proposito, il ricorrente aggiunge che nessuno degli altri tesserati ascoltati nel corso
delle indagini ha mai confermato le esternazioni del Sig. Gervasoni nei confronti del Sig.
Vantaggiato, ma anzi, il Sig. Ruopolo avrebbe sostenuto che il Sig. Gervasoni medesimo non
avrebbe nemmeno mai fatto il nome del calciatore in questione tra i possibili soggetti coinvolti nel
tentativo di combine.
In merito alle dichiarazioni rese dal Sig. Ferrari dinanzi alla Procura Federale e relative ad una
lamentela espressa dal Sig. Gervasoni nei confronti del ricorrente stesso, quest’ultimo evidenzia
come le stesse dimostrerebbero, a differenza di quanto sostenuto dalla Commissione Disciplinare, la
mancanza di responsabilità del Sig. Vantaggiato medesimo, il quale avrebbe rifiutato l’offerta del
Sig. Gervasoni, determinando l’ira di quest’ultimo. In virtù di quanto sopra, la difesa del Sig.
Vantaggiato rileva come manchi la prova cd. “oltre ogni ragionevole dubbio” in base alla quale
verificare la sussistenza dell’illecito sportivo a carico del Sig. Vantaggiato medesimo, con la
conseguenza che, anche quand’anche si intendesse accreditare la versione del Sig. Gervasoni, il
ricorrente sarebbe responsabile esclusivamente di omessa denuncia ex art. 7, comma 7 C.G.S. e,
pertanto, punibile applicando una sanzione in misura minima.
All’udienza di questa Corte di Giustizia Federale, è presente l’Avv. Annalisa Roseti, la quale
si riporta alle difese ed alle conclusioni contenute nel ricorso.
In relazione alla posizione del tesserato Daniele Vantaggiato, la Corte ritiene opportuno
premettere che le dichiarazioni rilasciate dal tesserato Gervasoni, con riferimento alla gara
Rimini/Albinoleffe del 20 dicembre 2008, risultano essere del tutto attendibili, perché estremamente
dettagliate in ordine a circostanze e a nomi dei soggetti coinvolti e, in parte, ribadite dal tesserato
Ferrari, il quale ha confermato l’episodio, riferito anche dal Gervasoni, della lamentela, nel post –
partita, da parte di quest’ultimo, nei confronti dello stesso Vantaggiato.
Tali dichiarazioni, pertanto, devono ritenersi credibili, anche perché aventi natura
autoaccusatoria e rivolte nei confronti di taluni soggetti con cui non risulta che Gervasoni avesse
alcun tipo di astio o risentimento diretto a giustificare con altre ragioni la chiamata in correità.
Con riferimento ai fatti oggetto di dette dichiarazioni, la Corte, peraltro, osserva che gli stessi
siano sufficienti a provare il coinvolgimento del tesserato Vantaggiato nel tentativo di combine
della gara sopra ricordata.
Ed, invero, secondo quanto riferito dal Gervasoni, quest’ultimo, in relazione all’anzidetta
gara, si è fatto promotore, inizialmente con i propri compagni di squadra e successivamente
contattando proprio Vantaggiato, calciatore della squadra avversaria, di una combine.
In particolare, il Gervasoni, in sede di interrogatorio innanzi all’A.G. di Cremona, in data 12
marzo 2012, riferiva quanto segue: “Già c’era stato un precedente tentativo da parte mia di
combinare la partita Rimini/Albinoleffe del 20 dicembre 2008, terminata 1 a 1. Ricordo che,
parlando negli spogliatoi con diversi miei compagni di squadra della persona svizzera (alludevo a
G.A. che era in grado di pagare eventuali risultati combinati), si decise che io avrei portato avanti
questo tentativo. Ricordo che ne parlai con Carobbio, Vantaggiato, Poloni, Garlini e la maggior
parte dei componenti della squadra, che erano d’accordo in ordine alla combine su un possibile
pareggio. Pertanto, andai a Rimini nella settimana antecedente alla partita e contattai Vantaggiato
Daniele che tuttavia non si dichiarò disponibile. Un suo amico che lo accompagnava nell’occasione
del contatto rilanciò il possibile accordo nel senso che noi avremmo dovuto perdere oltre che pagare
dei soldi. Pertanto non si concluse assolutamente nulla”.
Tale dichiarazione, peraltro ribadita dal Gervasoni anche in sede di audizione innanzi alla
Procura Federale, conferma non solo il fatto che lo stesso Gervasoni avesse proposto ad alcuni
compagni di squadra la combine in questione, assicurando il pagamento di un compenso, ma anche
e soprattutto che detti soggetti “erano d’accordo”.
E proprio dopo aver raccolto l’adesione dei propri compagni di squadra, condizione
imprescindibile per dar corso al contestato illecito, il Gervasoni ha contattato il tesserato
Vantaggiato della squadra avversaria per portare a compimento il proprio progetto.
Con riferimento specifico alla posizione del ricorrente, inoltre, il Gervasoni riferiva: “Preciso
che per quanto riguarda il giocatore Vantaggiato, che conoscevo per aver militato con lui nel Bari,
questi, una volta appreso quanto gli avevo proposto, mi disse che ne avrebbe parlato ai compagni
per farmi poi sapere. In realtà il contatto successivo io lo ebbi con un amico di Vantaggiato che era
presente quando feci la mia proposta. Questo mi disse che i compagni di squadra di Vantaggiato
non erano d’accordo sul pareggio, ma che potevano accordarsi per la vittoria del Rimini,
specificando che avremmo diviso i soldi derivanti da questa ipotesi di combine solo io, il portiere
dell’Albinoleffe e Vantaggiato. Io rifiutai nettamente quanto proposto dall’amico del Vantaggiato.”
L’attendibilità delle dichiarazioni rese dal Gervasoni, come già accennato, è anche
comprovata dal fatto che uno degli episodi da questi riferito è stato confermato dal tesserato Ferrari
in sede di audizione innanzi alla Procura Federale in data 24 aprile 2012.
In particolare, il Ferrari così affermava: “Rammento solo che, dopo la partita, sentii parlare
Gervasoni di Vantaggiato […] Gervasoni si lamentava di Vantaggiato dicendo che gli aveva fatto
perdere dei soldi”.
Del pari, il tesserato Rupolo, nelle dichiarazioni rilasciate in data 7 marzo 2012, dopo aver
detto di essere stato avvicinato da Gervasoni, che gli aveva riferito, in buona sostanza, che, grazie ai
suoi contatti, sarebbe andato a Rimini per contattare i giocatori avversari al fine di concordare un
pareggio, affermava: “Preciso che non mi riferì neanche il nome dei giocatori coinvolti. Il fatto che
la partita, nonostante il mio regolare impegno nella gara, avesse prodotto il risultato previsto di 1 -
1, avvalorò in me la convinzione che effettivamente Gervasoni avesse la possibilità di combinare le
gare a cui partecipava”.
Da ultimo, si ricorda che ancora il Gervasoni, ascoltato dalla Procura Federale in data 13
aprile 2012, precisava, tra l’altro, che “i giocatori che ho citato erano d’accordo per la proposta di
combine ai calciatori del Rimini ….” e che, non avendo successivamente trovato l’accordo con il
calciatore Vantaggiato, “tornato a Bergamo l’indomani riferii la cosa ai miei compagni”.
E’, pertanto, comprovata la partecipazione alla combine in questione del tesserato
Vantaggiato, il quale, avvicinato da Gervasoni, non rifiutò immediatamente l’offerta, riservandosi
di parlarne con i propri compagni di squadra, e, solo dopo aver raccolto il diniego da parte di questi
ultimi, rispondeva allo stesso Gervasoni, attraverso un amico (peraltro, presente al momento del
contatto), dando risposta negativa.
In questo contesto probatorio particolarmente dettagliato, risultano del tutto irrilevanti alcune
circostanze riferite dalla difesa del Vantaggiato in sede di ricorso, circostanze che, infatti, non
incidono minimamente sulla sostanza della vicenda che qui ci occupa.
La Corte si riferisce, in particolare, al fatto che il Gervasoni abbia rettificato le sue
dichiarazioni, precisando solo in un secondo momento l’iniziale accettazione della combine da parte
del Vantaggiato e l’esatto ruolo dell’amico di quest’ultimo nella vicenda, perché tali elementi, come
detto, non modificano la sostanza di quanto riferito dal medesimo Gervasoni, né possono incidere
sul grado di attendibilità di quest’ultimo. Stesso dicasi sulla circostanza che tutti i tesserati coinvolti
nella combine in questione non abbiano confermato la veridicità delle dichiarazioni del medesimo
Gervasoni, mancata omissione quest’ultima diretta verosimilmente a non trasformare le esternazioni
di tali tesserati in affermazioni confessorie.
Per completezza, la Corte ritiene di soffermarsi sulla circostanza relativa alle lamentele
espresse nel dopo – partita dal Gervasoni nei confronti del Vantaggiato e sul coinvolgimento
dell’amico di quest’ultimo.
Sul primo punto, la Corte si trova d’accordo con la decisione di primo grado nella quale la
Commissione afferma che il motivo di risentimento di Gervasoni risiedeva proprio nel fatto che
Vantaggiato non era d’accordo per il pareggio, con conseguente perdita economica per lo stesso
Gervasoni, interpretazione questa del tutto in linea con quanto affermato da quest’ultimo in ordine
al contenuto del “rilancio” posto in essere dall’amico di Gervasoni (“Questo mi disse che i
compagni di squadra di Vantaggiato non erano d’accordo sul pareggio – la gara si concluse,
appunto, sul risultato di 1 – 1 n.d.r. – ma che potevano accordarsi sulla vittoria del Rimini”).
In relazione alla posizione dell’amico di Vantaggiato, la Corte osserva che è da escludersi che
detto soggetto – peraltro già presente al primo contatto Gervasoni / Vantaggiato – abbia
successivamente contattato Gervasoni sua sponte, perché è oggettivamente più verosimile che
l’abbia fatto su incarico del ricorrente.
In considerazione di quanto sopra, la Corte considera raggiunta la prova del coinvolgimento
del tesserato Vantaggiato in relazione all’illecito sportivo posto in essere con riferimento alla gara
Rimini/Albinoleffe del 20 dicembre 2008.
In particolare, tale coinvolgimento risulta essere provato dalle circostanze sopra evidenziate,
anche in virtù del fatto che, per irrogare una condanna di un illecito sportivo, è sufficiente un grado
di prova superiore al generico livello probabilistico, non essendo necessaria, al contrario, né la
certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né il superamento del ragionevole dubbio:
ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di garantire, attraverso una rapida e certa
repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle gare e, per essa, i fondamentali valori
giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle competizioni (da ultimo, TNAS, Signori / FIGC
del 15.9.2011; Amodio / FIGC del 6/12/2011; Spadavecchia / FIGC del 2/1/2012).
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Daniele
Vantaggiato e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
34) RICORSO DEL CALC. GIANLUCA NICCO AVVERSO LA SANZIONE DELLA
SQUALIFICA PER ANNI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2 E 5 C.G.S.,
IN RELAZIONE ALLA GARA PIACENZA – PESCARA DEL 9.4.2011, SEGUITO
DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP
DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN
del 18.6.2012)
Con atto dell’8 maggio 2012, il Procuratore Federale deferiva, tra gli altri, alla Commissione
Disciplinare Nazionale, unitamente alle società Piacenza F.C. e Delfino Pescara 1936, il Sig. Carlo
Gervasoni (all’epoca dei fatti calciatore della società Piacenza F.C.), ed il Sig. Gianluca Nicco
(all’epoca dei fatti calciatore della società Delfino Pescara 1936) per la violazione dell’art. 7,
commi 1, 2 e 5 C.G.S., per aver, prima della gara Piacenza/Pescara del 9 aprile 2011, anche in
concorso tra loro e con altri soggetti non tesserati e altri allo stato non identificati, posto in essere
atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della predetta partita, prendendo contatti diretti e
incontrandosi di persona al fine di porre in essere atti finalizzati allo scopo sopra indicato.
In particolare, in relazione alla condotta del Sig. Nicco, il Procuratore Federale evidenziava
l’inattendibilità del giocatore in questione, ritenendo poco credibile che un calciatore professionista
avesse potuto attribuire carattere scherzoso alla proposta formulata dal Sig. Gervasoni in merito alla
vittoria del Piacenza nell’ambito della suddetta gara. Tra l’altro, dalle indagini eseguite dalla
Procura, è emerso che il Sig. Gervasoni, al fine di presentare al Sig. Nicco la predetta offerta, si era
recato appositamente presso il ritiro della squadra avversaria proprio il giorno prima della gara,
benché gli stessi avessero già concordato di vedersi dopo la stessa.
Nel corso delle udienze davanti alla Commissione Disciplinare, i deferiti respingevano le
accuse.
Con decisione pubblicata in data 18 giugno 2012, la Commissione Disciplinare dichiarava
tutti i deferiti colpevoli delle violazioni loro ascritte e condannava, per quel che qui interessa, il Sig.
Nicco alla squalifica per 3 anni.
I Giudici di prime cure confermavano la tesi della Procura Federale circa l’inattendibilità delle
affermazioni del Sig. Nicco, evidenziando la rilevanza dell’incontro di quest’ultimo con il calciatore
avversario, Sig. Gervasoni, nell’imminenza della gara in questione, nonché il carattere inverosimile
della circostanza addotta dal Sig. Nicco stesso a propria discolpa relativa al presunto carattere
scherzoso della proposta formulata dal Sig. Gervasoni medesimo.
La Commissione, a tal proposito, precisava, altresì, l’irrilevanza e l’inattendibilità, nel
presente procedimento, delle dichiarazioni dei compagni di squadra del Sig. Nicco depositati agli
atti: i tesserati, infatti, in caso di risposta affermativa al quesito posto, avrebbero ammesso la propria
responsabilità disciplinare nella vicenda, quanto meno sotto il profilo dell’omessa denuncia.
Contro la predetta sentenza della Commissione Disciplinare, il Sig. Nicco ha proposto ricorso
dinanzi alla Corte di Giustizia Federale, chiedendone l’integrale riforma. In particolare, la difesa del
Sig. Nicco evidenzia, in primo luogo, come la Commissione Disciplinare, nella propria decisione,
abbia semplicemente riportato quanto sostenuto dalla Procura Federale nel proprio deferimento,
senza tener conto di alcune discrasie presenti tra le testimonianze rese dal Sig. Gervasoni dinanzi
alla Procura della Repubblica di Cremona e dinanzi alla Procura Federale medesima: nel corso del
suo prima interrogatorio, invero, il Sig. Gervasoni avrebbe negato che la partita Piacenza – Pescara
avesse costituito oggetto di manipolazione, mentre, successivamente, in sede di interrogatorio
dinanzi al Procuratore della Repubblica Di Martino avrebbe, invece, ritrattato la precedente
versione, aprendo la strada ad una ipotesi di tentata combine e chiamando in correità il Sig. Nicco.
A detta del Sig. Nicco, l’inattendibilità delle testimonianze del Sig. Gervasoni risulterebbe,
altresì, dalla mancata risposta da parte di quest’ultimo alla domanda della Procura Federale relativa
al risultato perseguito. Del tutto lineari sarebbero, invece, le dichiarazioni rese dal Sig. Nicco, in
quanto le stesse rispecchierebbero perfettamente i successivi accertamenti effettuati.
A tal proposito, la difesa del Sig. Nicco sostiene che (i) la mancata “attivazione” del calciatore
in questione sarebbe stata confermata anche dai suoi compagni di squadra, i quali non sarebbero
mai stati avvicinati dal Sig. Nicco stesso, come invece sostiene il Sig. Gervasoni, al fine di
combinare la partita oggetto di contestazione; (ii) non essendo stata confermata la predetta
“attivazione”, mancherebbe la prova dell’attività svolta dal Sig. Nicco a favore della combine, con
la conseguenza che non sarebbe possibile ravvedere, nel caso di specie, un illecito sportivo, atteso
che, a tal fine, non è sufficiente l’ideazione e/o la preparazione dell’illecito, ma è necessaria la
messa in opera di atti esecutivi, nonché la presenza di un riscontro esterno, senza il quale la
chiamata in correità risulterebbe priva di ogni valenza probatoria; (iii) non vi sarebbe la prova che i
due calciatori in questione si sarebbero incontrati appositamente per parlare della partita in
questione; (iv) l’espressione rivolta dal Sig. Gervasoni al Sig. Nicco avrebbe avuto oggettivo
carattere ludico; (v) l’incontro avvenuto presso il ritiro del Pescara, il passaggio in macchina e lo
scambio di sms tra il Sig. Nicco ed il Sig. Gervasoni sarebbero circostanze irrilevanti, anche in
considerazione sia del fatto che il Sig. Nicco medesimo avrebbe riferito spontaneamente sia del
predetto incontro alla Procura Federale, sia del rapporto di amicizia che lega i due calciatori.
Nel caso che ci occupa, inoltre, a detta della difesa del Sig. Nicco, non si ravvedrebbero gli
elementi propri del cd “Metodo Gervasoni”, caratterizzato dalla presenza degli “zingari” e di un
certo numero di soggetti, nonché da schemi tipici nei quali trovano conferma abitudini operative
ben precise. Nel caso di specie, invero, gli incontri si sarebbero svolti alla luce del sole,
coinvolgendo un solo calciatore, il Sig. Nicco appunto, peraltro giovanissimo.
Infine, la difesa del Sig. Nicco evidenzia come quest’ultimo sia stato l’unico soggetto a
denunciare il Sig. Gervasoni per l’accertamento del reato di cui all’art. 358 c.p..
All’udienza di questa Corte di Giustizia Federale, è presente l’Avv. Flavia Tortorella, la quale
si riporta alle difese ed alle conclusioni contenute nel ricorso.
In relazione alla posizione del tesserato Gianluca Nicco, la Corte ritiene opportuno premettere
che le dichiarazioni rilasciate dal tesserato Gervasoni, con riferimento alla gara Piacenza – Pescara
del 9 aprile 2011, risultano essere pienamente attendibili, perché estremamene dettagliate in ordine
a circostanze e a nomi dei soggetti coinvolti e, in parte, ammesse dallo stesso ricorrente, il quale,
invero, ha confermato di aver avuto contatti telefonici o via sms nei giorni precedenti alla gara con
il medesimo Gervasoni, di averlo incontrato nel proprio ritiro pre – gara, di essere stato destinatario
della frase “ma domani ci fate vincere?” pronunciata dallo stesso Gervasoni e, infine, di essere
tornato a casa insieme a quest’ultimo al termine della gara.
Tali dichiarazioni, pertanto, devono ritenersi credibili, anche perché aventi natura
autoaccusatoria e rivolte nei confronti di un soggetto con cui non risulta che Gervasoni avesse alcun
tipo di astio o risentimento diretto a giustificare con altre ragioni la chiamata in correità (in
particolare, risulta pacifico che tra il Gervasoni e il Nicco esistesse un rapporto di amicizia).
In particolare, in ordine alla posizione che qui interessa, il tesserato Gervasoni,
nell’interrogatorio reso al Pubblico Ministro della Procura di Cremona in data 27 febbraio 2011,
dichiarava: “Quanto alla partita Piacenza – Pescara del 9 aprile 2011 terminata 0 a 2 per il Pescara,
….. mi ero attivato contattando Nicco Gianluca del Pescara per vedere se c’era la possibilità di
combinare una nostra vittoria. Nicco si attivò, ma poi mi fece sapere con un messaggio che non era
riuscito a convincere i suoi compagni di squadra a farci vincere. La mia espulsione fu un fatto
estemporaneo”.
Il calciatore Gianluca Nicco, ascoltato dall’Ufficio il 28.3.2012, dichiarava: “qualche giorno
prima della gara Piacenza/Pescara del 9.4.2011, mi sembra il martedì, fui io che contattai Gervasoni
chiedendogli, non so se telefonicamente o con sms, se, a fine partita, mi avesse potuto dare un
passaggio per tornare a casa”; “mi rispose affermativamente”; “nella giornata di giovedì o venerdì
mi chiese, sempre tramite sms, ove ci trovassimo in ritiro perché voleva venirmi a trovare; gli
mandai il nome dell’albergo, anche perché non trovai nulla di anomalo nella sua richiesta, anzi mi
avrebbe fatto piacere ricevere una sua visita”; “venne in albergo il venerdì sera, precedente la gara
vero le 18,00 – 18,30”; “mi sembra di ricordare che mi disse “ma domani ci fate vincere?”, ma con
tono scherzoso e, conoscendolo, non lo presi certamente sul serio”; “alla sua domanda, “ma domani
ci fate vincere?”, ritenendo fosse uno scherzo, risposi in modo scherzoso anch’io”; “avendolo preso
come uno scherzo è evidente che non mi sia attivato in alcun modo, né ho parlato della vicenda con
alcun compagno, come invece riferisce Gervasoni e pertanto non so spiegare le sue parole”.
E’, quindi, del tutto evidente, perché pacifico, che tra il Gervasoni ed il Nicco ci fossero
ottimi rapporti, che, come detto, sono incompatibili con una chiamata in correità priva di
fondamento, che i due abbiano avuto rapporti telefonici nei giorni antecedenti la gara, che si siano
incontrati nel ritiro del Pescara (peraltro, come correttamente rilevato dalla decisione impugnata,
incontro inutile avendo i due già raggiunto l’accordo per il viaggio di ritorno), che il Gervasoni
abbia rivolto al Nicco la frase “ma domani ci fate vincere?” e che, infine, al termine della gara,
siano tornati a casa insieme nell’autovettura del medesimo Gervasoni.
Tutti gli anzidetti elementi – come si ripete, pacifici – portano oggettivamente la Corte a
ritenere che effettivamente il Gervasoni abbia tentato di coinvolgere il ricorrente nell’atto illecito
avente ad oggetto la gara Piacenza/Pescara del 9 aprile 2011.
La Corte, tuttavia, ritiene che il Nicco, in realtà, anche in conseguenza della sua giovane età e
del fatto che evidentemente non aveva grande importanza all’interno della propria squadra e che
non prese parte alla gara in questione, non si sia mai attivato nei confronti dei propri compagna di
squadra, non dando seguito, pertanto al progetto di Gervasoni.
A tale convincimento la Corte è giunta non solo sulla base delle considerazioni appena
esposte, ma anche perché, come affermato dal Gervasoni, Nicco non precisò i nomi dei compagni
che aveva contattato.
La Corte, quindi, ritiene che, nella specie, pur essendo stato destinatario di una richiesta di
combine per la gara in esame, il ricorrente non si sia attivato e che, più semplicemente, non abbia
voluto confessare al Gervasoni tale sua inerzia.
Ciò posto, non v’è, invece, dubbio alcuno, secondo la Corte, che i due protagonisti della
vicenda abbiano effettivamente trattato l’argomento relativo alla combine sia per via telefonica
(anche solo attraverso invio di sms), nel corso dell’inutile – nel senso sopra precisato – incontro
presso il ritiro del Pescara, sia, da ultimo, nel corso del viaggio di ritorno dopo la gara.
Decisiva in questo senso, è la pacifica circostanza secondo cui il Gervasoni abbia rivolto al
Nicco la frase: “ma domani ci fate vincere?”, che, come correttamente affermato dal primo Organo
giudicante, non poteva certo essere vissuta in modo scherzoso, essendo, tra l’altro, stata pronunciata
in occasione dell’incontro nel ritiro pre – gara e nei confronti di un tesserato professionista, per
quanto giovane.
Ora, nell’ambito dell’art. 7 C.G.S., che, come noto, disciplina l’illecito sportivo, è previsto
anche l’obbligo per i dirigenti, i soci e i tesserati di denunciare i fatti che possono integrarlo.
Il comma 7 dell’art. cit., a tal proposito, stabilisce: “I soggetti di cui all’art. 1, commi 1 e 5,
che comunque abbiano avuto rapporti con società o persone che abbiano posto o stiano per porre in
essere taluno degli atti indicati ai commi precedenti ovvero che siano venuti a conoscenza in
qualunque modo che società o persone abbiano posto o stiano per porre in essere taluno di detti atti,
hanno l’obbligo di informare, senza indugio, la Procura federale della F.I.G.C.”.
La denuncia dell’illecito sportivo si configura, dunque, come atto dovuto, dalla cui violazione
scaturisce una sanzione disciplinare.
Secondo la Corte, pertanto, sussisteva, in capo al Nicco, l’obbligo di denuncia di cui al sopra
richiamato 7, comma 7, C.G.S..
La Corte – anche ai fini della sanzione da comminare – ritiene, peraltro, che tale obbligo non
sia stato adempiuto dal Nicco ripetutamente nel caso in esame, considerati i molti contatti avuti con
il Gervasoni nel pre e nel post – gara, durante i quali, come già osservato, l’argomento della
combine è stato verosimilmente più volte trattato.
Per questi motivi la C.G.F. in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto dal
calciatore Gianluca Nicco ridetermina la sanzione della squalifica inflitta per anni 1 e ammenda di €
30.000,00 ai sensi dell’art. 7, commi 7 e 8 C.G.S..
Dispone restituirsi la tassa reclamo.
35) RICORSO DEL DELFINO PESCARA 1936 SRL AVVERSO LA PENALIZZAZIONE
DI PUNTI 2 IN CLASSIFICA DA SCONTARSI NELLA ST. SP. 2012/2013, INFLITTA PER
RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, AI SENSI DEGLI ARTT. 4, COMMA 2 E 7 COMMA 4,
C.G.S., PER LE VIOLAZIONI ASCRITTE AL CALCIATORE GIANLUCA NICCO,
SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-
12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n.
101/CDN del 18.6.2012)
Con atto dell’8 maggio 2012, il Procuratore Federale deferiva, tra gli altri, alla Commissione
Disciplinare Nazionale le società Piacenza F.C. e Delfino Pescara 1936, per responsabilità
oggettiva, ai sensi degli artt. 4, comma 2 e 7 comma 4 C.G.S. in ordine agli addebiti contestati ai
propri tesserati, il Sig. Carlo Gervasoni (all’epoca dei fatti calciatore della società Piacenza F.C.) ed
il Sig. Gianluca Nicco (all’epoca dei fatti calciatore della società Delfino Pescara 1936).
In particolare le predette società venivano chiamate a rispondere della violazione, da parte del
Sig. Gervasoni e del Sig. Nicco dell’art. 7, commi 1, 2 e 5 C.G.S., per aver quest’ultimi, prima della
gara Piacenza – Pescara del 9 aprile 2011, anche in concorso tra loro e con altri soggetti non
tesserati e altri allo stato non identificati, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il
risultato della predetta partita, prendendo contatti diretti e incontrandosi di persona al fine di porre
in essere atti finalizzati allo scopo sopra indicato.
Nel corso delle udienze davanti alla Commissione Disciplinare Nazionale, i deferiti
respingevano le accuse.
Con decisione pubblicata in data 18 giugno 2012, la Commissione Disciplinare dichiarava
tutti i deferiti colpevoli delle violazioni loro ascritte e condannava, per quel che qui interessa, la
società Delfino Pescara 1936 alla penalizzazione in classica di punti due da scontarsi nella stagione
agonistica 2012/2013.
I Giudici di prime confermavano la responsabilità oggettiva della società in questione, alla
quale apparteneva il Sig. Nicco, quale conseguenza della responsabilità di quest’ultimo. La
Commissione Disciplinare aveva, infatti, fatta propria la tesi della Procura Federale circa
l’inattendibilità delle affermazioni del Sig. Nicco, evidenziando la rilevanza dell’incontro di
quest’ultimo con il calciatore avversario, Sig. Gervasoni, nell’imminenza della gara in questione,
nonché il carattere inverosimile della circostanza addotta dal Sig. Nicco stesso a propria discolpa
relativa al presunto carattere scherzoso della proposta formulata dal Sig. Gervasoni medesimo.
La Commissione, a tal proposito, precisava, altresì, l’irrilevanza e l’inattendibilità, nel
presente procedimento, delle dichiarazioni dei compagni di squadra del Sig. Nicco depositate agli
atti: i tesserati, infatti, in caso di risposta affermativa al quesito posto, avrebbero ammesso la propria
responsabilità disciplinare nella vicenda, quanto meno sotto il profilo dell’omessa denuncia.
Contro la predetta sentenza della Commissione Disciplinare, la società Delfino Pescara 1936
ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Federale, chiedendone l’integrale riforma. La
società Delfino Pescara 1936 incentra la sua difesa sull’inesistenza del coinvolgimento del Sig.
Nicco nei fatti oggetto di contestazione e sulla conseguente relativa mancanza di responsabilità in
capo a quest’ultimo ed alla società medesima.
In particolare, la difesa della società in questione evidenzia come l’accertamento della
responsabilità in capo al Sig. Nicco risulterebbe erroneo in quanto fondato su vizi logici, ancora
prima che giuridici: la Commissione Disciplinare non avrebbe, invero, ravvisato alcun dubbio
sull’attendibilità del Sig. Gervasoni e sulla conseguente inattendibilità del Sig. Nicco, nonostante le
operazioni di Polizia Giudiziaria effettuate sulla partita oggetto di contestazione avessero rilevato
una versione dei fatti perfettamente compatibile con quanto sostenuto dal Sig. Nicco stesso in
merito alla strumentalizzazione di quest’ultimo da parte del Sig. Gervasoni medesimo al fine di
ovviare, in sede penale, all’accertamento di un ulteriore frode in competizione sportiva consumata e
sostenere una condotta meno grave, quale è l’illecito sportivo.
Sul punto, la società rileva, altresì, come la Commissione Disciplinare, avendo scelto di dar
peso alle dichiarazioni del Sig. Gervasoni e non del Sig. Nicco, avrebbe errato nel porre a
fondamento della propria decisione fatti e circostanze riferite dal secondo e non dal primo e
ribadisce che, nel procedimento in questione, il Sig. Nicco è stato l’unico soggetto che ha
provveduto a denunciare il Sig. Gervasoni per calunnia.
La società, inoltre, insiste sulla inattendibilità e sulla illogicità delle dichiarazioni del Sig.
Gervasoni, anche in considerazione non solo delle affermazioni rese dal Sig. Pumeral in merito alle
conseguenze derivanti dall’errore e/o dal tradimento di un membro e/o di un partecipante
dell’associazione, ma anche del mancato riscontro della cd. “prova oltre ogni ragionevole dubbio”
in merito alla presunta attività del Sig. Nicco. Sulla responsabilità della società, la ricorrente
sostiene che, al fine di poter configurare un’ipotesi di responsabilità oggettiva, sarebbe necessario
un seppur minimo collegamento, in termini di disvalore del fatto, tra la condotta concretamente
posta in essere dal tesserato ed il ruolo della società.
A tal proposito, la società rileva, altresì, come sia ormai progressivo il distacco
dell’ordinamento statale e sovranazionale da ogni forma di responsabilità oggettiva, con particolare
riferimento alla responsabilità per fatto altrui, in materia penale e disciplinare, in quanto
direttamente confliggente con il principio di cui all’art. 27, comma 1 della Costituzione Italiana.
Sulla base di quanto sopra, la difesa della ricorrente afferma che non vi sarebbe un solo elemento, a
carico della società, rilevante ai fini dell’illecito ed evidenzia che, ai fini della valutazione della
posizione di quest’ultima, sarebbe necessario tener conto (i) dell’anticipazione di tutela costituita
dalla norma di cui all’art. 7, comma 1 e 2, C.G.S., la cui formulazione, facente riferimento ad “atti
diretti”, determinerebbe un’oggettiva difficoltà di conoscibilità e controllo da parte della società; (ii)
della presunta condotta irreprensibile degli altri membri della squadra; (iii) della circostanza per cui
il Sig. Nicco si sarebbe attivato per provocare un danno e non un vantaggio alla società, in quanto la
combine aveva ad oggetto la perdita della gara da parte del Pescara; (iv) che la condotta del Sig.
Nicco dovrebbe essere valutata in termini di apporto minimo al sistema criminale; (v) che la
giurisprudenza terrebbe in conto la correlazione esistente tra la natura della condotta dell’agente e la
responsabilità oggettiva della società, con conseguente proporzionale risposta sanzionatoria; (vi)
che il Sig. Nicco avrebbe messo la Procura Federale a conoscenza di fatti che quest’ultima
altrimenti non avrebbe mai conosciuto.
Infine, la difesa della società contesta l’entità della sanzione irrogata.
All’udienza riunione di questa Corte di Giustizia Federale, è presente l’Avv. Flavia Tortorella,
la quale si riporta alle difese ed alle conclusioni contenute nel ricorso.
In via preliminare, la Corte intende precisare che, nella presente decisione, non prenderà in
considerazione tutti i rilievi svolti dalla ricorrente in relazione alla posizione del tesserato Gianluca
Nicco, posizione che, infatti, viene ampiamente trattata nella decisione emessa in pari data a seguito
del ricorso proposto da quest’ultimo.
La Corte ritiene, invece, opportuno svolgere alcune brevi considerazioni in ordine al
principio della responsabilità oggettiva delle società di appartenenza di tesserati coinvolti in
comportamenti rilevanti per l’ordinamento di riferimento.
A questo proposito, come, peraltro, è stato già correttamente osservato dalla giurisprudenza di
questa medesima Corte (ex plurimis, cfr. Com. Uff. n. 56 Stagione Sportiva 2011/2012) e dalla
C.A.F. (cfr. Com. Uff. n. 7/C Stagione Sportiva 2004/2005), si ricorda che, nell’ambito
dell’ordinamento sportivo, la larga utilizzazione, in particolare nel calcio, dei moduli della
responsabilità oggettiva è correlata in primo luogo a necessità operative ed organizzative,
trattandosi di strumento di semplificazione utile a venire a capo, in tempi celeri e compatibili con il
prosieguo dell’attività sportiva e quindi con la regolarità delle competizioni e dei campionati, di
situazioni di fatto che altrimenti richiederebbero, anche al fine di definire le varie posizioni
giuridicamente rilevanti in campo, lunghe procedure e complessi, oltre che costosi, accertamenti.
L’ordinamento sportivo, del resto, non può permettersi di lasciare determinati eventi impuniti
o comunque privi di conseguenze sanzionatorie.
La detta giurisprudenza ha precisato che, nell’ordinamento calcistico, le società possono
essere chiamate a rispondere a titolo di responsabilità diretta, presunta ed oggettiva. Le società
rispondono direttamente dell’operato di chi le rappresenta ai sensi dei regolamenti federali; sono
presunte responsabili sino a prova contraria degli illeciti sportivi a loro vantaggio, che risultino
commessi da persone ad esse estranee; sono, infine, oggettivamente responsabili (è il caso che qui
interessa) dell’operato dei propri dirigenti, soci e tesserati agli effetti disciplinari.
Se nessun problema si è storicamente posto circa la responsabilità diretta e quella presunta,
operando, nel primo caso, i normali principi in tema di rappresentanza e di organi rappresentativi, e
trovando spazio, nel secondo caso, la possibilità di una prova liberatoria da parte della società
sportivamente avvantaggiata dall’illecito, non altrettanto può dirsi della responsabilità oggettiva,
relativamente alla quale si sono manifestate diverse prese di posizione volte a contestarne non solo
l’opportunità, ma la stessa compatibilità con i principi di civiltà giuridica e con gli stessi fondamenti
dell’ordinamento comune.
Al contrario, si è rilevato che la responsabilità oggettiva, che riguarda le società e non anche i
singoli atleti, trova, nell’ottica della particolare autonomia dell’ordinamento sportivo e delle sue
finalità, una valida giustificazione, rispondendo all’esigenza di assicurare il pacifico e regolare
svolgimento dell’attività sportiva.
Tali granitici principi non vengono, peraltro, in alcun modo intaccati dai pur puntuali rilievi
svolti dalla ricorrente nel proprio ricorso.
Al fine di determinare una responsabilità oggettiva di una società rispetto ad un
comportamento posto in essere da un proprio tesserato non è, infatti, necessario provare un
collegamento tra la condotta del medesimo tesserato ed il ruolo della società stessa, né, tantomeno,
la difficoltà di quest’ultima a conoscere e a controllare l’operato del primo.
Il fondamento della responsabilità oggettiva è, invero, per definizione, del tutto scollegato da
tali criteri, laddove si consideri che detta responsabilità si ha, ai sensi del vigente ordinamento,
proprio laddove non vi sia alcuna contestazione diretta da avanzare alla società anche solo in
termini di suo collegamento rispetto ad un determinato episodio o di mancato controllo.
A questo proposito, risultano parimenti irrilevanti le circostanze secondo cui il resto della
squadra avrebbe avuto una condotta irreprensibile e che, nella specie, si sia trattato di un singolo
episodio, atteso che la responsabilità oggettiva trova ingresso indipendentemente da tali elementi,
essendo sufficiente anche un solo episodio commesso da un solo tesserato per far nascere detta
responsabilità in capo ad una società.
Ciò detto in linea di principio, nella già richiamata decisione emessa in pari data sul ricorso
proposto dal tesserato Gianluca Nicco, questa Corte ha ritenuto di dover derubricare il
comportamento tenuto da quest’ultimo dalla fattispecie di cui all’art.7, commi 1, 2 e 5 C.G.F. alla
fattispecie prevista all’art.7, commi 7 e 8 C.G.F..
Ne consegue che, in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla Delfino Pescara 1936
S.r.l., la sanzione da comminarsi a quest’ultima rispetto al comportamento del tesserato Nicco
debba essere rideterminata e limitata ad un’ammenda.
Si precisa, infine, che la richiesta di ammissione di prova testimoniale contenuta nel ricorso in
oggetto, peraltro non reiterata in udienza dal difensore della ricorrente, doveva, comunque, essere
considerata inammissibile per mancata articolazione dei capitoli di prova e mancata presenza in
aula del testimone indicato.
Per questi motivi la C.G.F., in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto dal
Delfino Pescara 1936 S.r.l. di Pescara, ridetermina la sanzione inflitta nella sola ammenda di €
30.000,00.
Dispone restituirsi la tassa reclamo.
36) RICORSO DEL CALC. MATTIA SERAFINI AVVERSO LA SANZIONE DELLA
SQUALIFICA PER 3 ANNI E 6 MESI, INFLITTA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 7
COMMI 1, 2, 5 E 6 C.G.S, IN RELAZIONE ALLA GARA SALERNITANA –
ALBINOLEFFE DEL 18.4.2009, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE
FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della
Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
Il calciatore Mattia Serafini, all’epoca dei fatti in contestazione tesserato per la società U.C.
Albinoleffe S.r.l. di Albino (BG), ha proposto ricorso nei termini abbreviati di cui al Com. Uff. n.
153/A/2012, avverso quanto deciso, nei suoi confronti, dalla Commissione Disciplinare Nazionale,
così come riportato in epigrafe, lamentando l’assoluta ingiustizia della sanzione, asseritamente
irrogatagli solo sulla base della chiamata in correità di Carlo Gervasoni, ritenuta priva di qualsiasi
attendibilità intrinseca ed estrinseca.
La difesa del calciatore, rappresentata dall’avv. Sergio Puglisi Maraja ha chiesto l’integrale
riforma della decisione del Giudice di primo grado deducendo che quella Commissione Disciplinare
Nazionale avrebbe inflitto la sanzione omettendo di verificare l’attendibilità del dichiarante e
quella, intrinseca ed estrinseca, della dichiarazione stessa e violando, così facendo, i principi
fondamentali dell’ordinamento giuridico.
33
Ci si duole, pertanto, del credito dato dalla Commissione Disciplinare alle affermazioni
autoeteroaccusatorie del Gervasoni, di come esse siano imprecise e generiche, prive di riferimenti
puntuali.
La doglianza è rivolta, quindi, avverso una decisione che si reputa palesemente affetta da
insuperabile carenza probatoria e si chiede che, in riforma, la squalifica inflitta al Serafini sia
annullata.
La vicenda in esame merita di essere puntualizzata, sia dal punto di vista della sua
contestualizzazione materiale che in ordine al suo sviluppo processuale.
Il procedimento, che vive la sua fase di appello dinanzi questa Corte, è stato originato dal
provvedimento di deferimento della Procura Federale che, sulla base di quanto previsto ex art. 2
della legge n. 401/89 e dell’art. 116 c.p.p. ha chiesto e ottenuto, dall’Autorità Giudiziaria di
Cremona, la trasmissione degli atti relativi ad una complessa attività di indagine – che peraltro
costituisce il prosieguo di altre investigazioni già riferite alla Procura Federale nella primaveraestate
del 2011 e già oggetto di cognizione da parte di questa Corte (vedi fra gli altri, Com. Uff. n.
061/CGF – n. 043/CGF e n. 056/CGF) – riguardante una capillare associazione delinquenziale
finalizzata ad alterare, tramite il fattivo coinvolgimento di tesserati, i risultati di molte partite del
campionato italiano di calcio delle diverse categorie e, per effetto delle scommesse effettuate sul
loro esito, finale o parziale e sul numero delle reti realizzate, trarre ingenti profitti illeciti.
Sulla base di tale documentazione la Procura Federale ha poi proceduto a svolgere autonoma
attività di accertamento a conferma dei comportamenti illeciti dei tesserati della Federazione che ha
consentito, secondo l’impianto accusatorio posto alla valutazione del giudicante, di acquisire
elementi di oggettivo conforto sulla sussistenza sia della predetta associazione, costituita anche in
dispregio di quanto previsto dall’art. 9 C.G.S., sia della fitta rete di contatti stabili tra i tesserati, tutti
univocamente preordinati al conseguimento delle finalità illecite del sodalizio (ossia quello di
alterare il normale contesto agonistico delle partite, anche attraverso un’intensa opera di
reclutamento, affiliazione o anche solo episodica partecipazione di altri tesserati) sia, da ultimo, di
appurare come il sistema godesse di un’interessata omertà da parte di coloro che, pur non
direttamente partecipi al progetto criminoso, ne traevano profitto effettuando scommesse in
violazione, anche qui, del divieto imposto dall’art.6 C.G.S..
Su questo quadro di fondo va inserita la specifica vicenda oggetto della presente cognizione.
La Procura Federale, nel suo atto di deferimento alla Commissione Disciplinare Nazionale,
ha contestato al sig. Mattia Serafini di aver, in concorso con altri giocatori (Carlo Gervasoni,
Filippo Carobbio, Antonio Narciso e Francesco Ruopolo) tutti tesserati, all’epoca per la società U.S.
Albinoleffe S.r.l., alterato il regolare svolgimento della gara Salernitana/Albinoleffe del 18.4.2009,
con l’aggravante del raggiungimento dello scopo fraudolento.
Nel provvedimento di accusa la contestazione è stata formulata con il conforto delle
dichiarazioni autoeteroaccusatorie di Carlo Gervasoni, e di Filippo Carobbio, delle ammissioni di
Francesco Ruopolo e degli elementi di conferma indiretta forniti da Antonio Narciso.
In particolare il Gervasoni, interrogato dal G.I.P. di Cremona in data 22.12.2011 aveva
riferito di essere stato coinvolto nel progetto di alterazione di tre partite, tra cui Salernitana-
Albinoleffe, confermando tale ammissione il successivo 27.12.2011 al P.M. della città lombarda al
quale ha altresì riferito che parimenti coinvolti erano i suoi compagni di squadra Carobbio, Narciso,
Serafini e Ruopolo e che la cifra complessivamente percepita era stata di circa €. 90.000,00.
Affermazioni di conforme contenuto erano state rilasciate dal giocatore Carobbio al
Procuratore Federale in data 29.2.2012, dal giocatore Narciso (v. dichiarazioni al Procuratore
Federale del 7.3.2012) e dal Ruopolo, sempre in data 7.3.2012, il quale ultimo, seppur negando il
proprio fattivo coinvolgimento, aveva ammesso l’esistenza del progetto criminoso.
La Commissione Disciplinare Nazionale, con specifico riguardo alla partita
Salernitana/Albinoleffe del 18.4.2009, ha disposto l’applicazione , su conforme richiesta delle parti,
di sanzioni ai sensi degli artt. 23 e 24 C.G.S. nei confronti dei calciatori Carobbio, Gervasoni,
Narciso e Ruopolo e sancito la responsabilità del calciatore Mattia Serafini per violazione dell’art.
7, commi 1,2 e 5, con l’aggravante di cui al comma 6 C.G.S. con conseguente irrogazione della
squalifica per anni 3 e mesi 6.
Analoga e conseguente responsabilità è stata sancita per la società di appartenenza coinvolta.
Dinanzi a questa Corte il giorno 2 luglio 2012, l’avv. Maraja ha insistito nella tesi
dell’inattendibilità della chiamata in correità e della necessità che tali dichiarazioni trovino adeguato
riscontro oggettivo, concludendo per l’assoluzione del suo assistito mentre il Procuratore Federale
avv. Stefano Palazzi ha ribadito la propria richiesta di conferma della sanzione inflitta in primo
quadro sulla base di un quadro probatorio definito “granitico” e che troverebbe indiretta conferma
anche dalla richiesta di applicazione di sanzione su richiesta di parte avanzata e ottenuta da quattro
dei cinque calciatori coinvolti.
La Corte esaminati gli atti e valutate appieno le argomentazioni addotte dalle rispettive parti
a sostegno delle loro tesi, ritiene che il ricorso proposto dal tesserato Mattia Serafini non possa
essere accolto in ragione del fatto che, ad avviso di questo Collegio, la commissione dell’ illecito p.
e p. dall’art. 7 commi 1,2,e 5 C.G.S. sia più che sufficientemente provato, al pari della ricorrenza
dell’aggravante di cui al comma 6 del medesimo art. 7 C.G.S..
La difesa dell’appellante ha rammentato a questa Corte la necessità della costante
applicazione dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano ed europeo, tra i quali
quelli ad un “giusto processo” ex art. 111 Cost., cosicché la prova dedotta in giudizio e consistente
nella “chiamata in correità” di taluno deve essere scrutinata attraverso l’attenta verifica
dell’attendibilità della stessa e del suo autore, asseritamente non effettuata dal giudice di prime
cure. Questi, pur nell’assenza di riscontri oggettivi – così come asseritamente ammesso dal
Procuratore Federale il quale, nell’atto di deferimento, avrebbe confermato l’assenza di “utenze
riservate”, di “contatti frenetici fra le parti in occasione delle gare” o “dazioni di somme di
denaro”- avrebbe acriticamente fatto propria la tesi della Procura e inflitto la sanzione in epigrafe.
In sostanza, ci si duole che la Commissione Disciplinare Nazionale abbia irrogato la
sanzione de qua sulla sola affermazione del calciatore Carlo Gervasoni “priva di alcun riscontro e
senza alcuna convergenza di dichiarazioni” e senza, peraltro, alcuna “esauriente ed adeguata
motivazione” in merito.
La decisione che segue merita che, preliminarmente, la vicenda sia ascritta in un quadro
descrittivo fenomenico e giuridico che ne consenta una migliore intelligibilità della vicenda.
A seguito di notizie stampa circa attività istruttoria condotta dalla Procura della Repubblica
di Cremona in merito all’esistenza di una associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva
mediante alterazione del corretto svolgimento di partite di calcio dei vari campionati svolgentisi
sotto l’egida federale (reato mezzo) ed effettuazione di scommesse in denaro sulle stesse gare,
dall’esito scontato alla luce dell’attività presupposta (reato fine), scommesse in ogni caso vietate ai
tesserati ai sensi dell’art. 6 C.G.S., il Procuratore Federale aveva richiesto agli inquirenti di poter
acquisire copia degli atti di interesse per poter avviare l’azione di propria competenza.
Acquisita, nel corso di proficua e prolungata collaborazione, la documentazione messa a
disposizione dall’Autorità Giudiziaria ordinaria (Procura della Repubblica ed Ufficio del G.I.P. del
Tribunale di Cremona) la Procura Federale ha provveduto ad effettuare attività istruttoria, nel corso
della quale i tesserati, che nella precedente sede avevano fornito ampia ed illuminante
collaborazione, hanno confermato le loro dichiarazioni autoeteroaccusatorie mentre altri hanno
negato il loro coinvolgimento.
Va detto, in primo luogo, che non può dubitarsi (e nessuno degli appellanti ne dubita)
dell’esistenza di una vasta e radicata organizzazione delinquenziale transnazionale gestita, al
vertice, da soggetti estranei all’ordinamento sportivo ma nella quale si collocavano,
indubitabilmente in posizione di assoluto rilievo (vedi, da ultimo, ordinanza custodia cautelare in
calce emessa dal G.I.P. del Tribunale di Cremona del 2 febbraio 2012), tesserati di questa
Federazione, ai quali era stata affidata la responsabilità di coinvolgere altri soggetti, in organico a
società calcistiche, in tutte le fasi, preparatorie ed esecutive, del disegno criminoso, nonché di
“garantire” il buon esito degli accordi illeciti.
Il raggiunto grado di certezza – anche se allo stato di indagini preliminari penali – della sua
esistenza, delle sue dimensioni transazionali e della sua pericolosità, ancorché acclarata nell’ambito
di un ordinamento giudiziario diverso e indipendente rispetto all’ordinamento sportivo (autonomia
dell’ordinamento sportivo confermata dalla Corte Costituzionale in sent. n. 49/2011), non può non
essere assunto come dato acquisito nel presente procedimento, anche se le risultanze cui si è
pervenuti in quella sede debbano essere intese solo come risultato fattuale e senza che questo privi
l’autorità sportiva del potere di procedere ad autonome verifiche e acquisizioni istruttorie sui fatti
illeciti addebitati a soggetti giuridici sottoposti a questo ordinamento. Né, del pari, viene meno la
possibilità di pervenire, sugli stessi fatti materiali, ad un convincimento proprio, fondato appunto su
una distinta valutazione circa la sussistenza o meno di comportamenti costituenti violazione di
norme federali.
Questo non esclude, ovviamente, che si possa giungere a coerenti e collimanti affermazioni
di responsabilità, atteso che norme penali e regole federali hanno, pur con genesi diversa e
procedimentalizzazioni perspicue, finalità omogenee quanto al ripristino dell’ordine violato e
all’affermazione di principi superindividuali ed essenziali per l’organizzazione sociale..
Principi e regolae iuris che pur esplicando la loro diretta ed immediata incidenza
nell’ordinamento che li prevedono, non escludono che la loro essenza possa essere – per la loro
forza persuasiva e intrinseca condivisione – trasfusa in ordinamenti diversi nella generale esigenza,
propria di ogni società civile, di salvaguardare – sempre e comunque – i valori etici fondanti ogni
communitas, antica o moderna che sia.
La valenza generale di principi di diritto comune (nel rispetto dell’autonomia degli
ordinamenti) fa sì che anche nell’ordinamento sportivo – e federale in questo caso – ogni
responsabilità sia affermata in base ad oggettivi riscontri e non mere illazioni, dicerie, congetture
che non hanno dignità di prova o di argomento di prova.
Nell’implicito richiamo a questo principio cardine di ogni sistema processuale la difesa del
calciatore Serafini si lamenta che al suo assistito sia stata comminata una sanzione gravemente
afflittiva in base alle sole dichiarazioni di soggetto sodale ad un sistema criminoso, rimaste prive di
adeguato riscontro.
Sul punto deve affermarsi che se è vero che l’ordinamento giustiziale federale è improntato a
dare celere risposta alle condotte poste in essere in violazione dei suoi canoni, è altresì vero che la
risposta non può concretizzarsi in una sorta di giustizia sommaria e meramente indiziaria: celerità e
giustizia effettiva non sono termini antitetici di un sistema ma assolutamente complementari in un
contesto processuale che ha quale suo essenziale scopo quello di ripristinare l’ordine giuridico
vulnerato.
E, allora, se l’esigenza era ed è quella di valutare l’efficacia probatoria delle dichiarazioni
autoeteroaccusatorie rese, non può dirsi che ciò non sia stato fatto dal giudice di primo grado solo
per la mancanza di improbabili riscontri oggettivi esterni.
Il parametro cui fare rinvio per valutare le dichiarazioni di Gervasoni è quello posto
dall’art. 192, commi 3 e 4 c.p.p. e la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha avuto
costantemente modo di affermare che “In tema di valutazione della prova, allorché il chiamante in
correità rende dichiarazioni che concernono una pluralità di fatti-reato commessi dallo stesso
soggetto e ripetuti nel tempo, l’elemento esterno di riscontri in ordine ad alcuni di essi fornisce sul
piano logico la necessaria integrazione probatoria a conforto della chiamata anche in relazione
agli altri purché sussistano ragioni idonee a suffragare un tale giudizio e ad imporre una
valutazione unitaria delle dichiarazioni accusatorie, quali l’identica natura dei fatti in questione,
l’identità dei protagonisti o di alcuni di loro, l’inserirsi dei fatti in un rapporto intersoggettivo
unico e continuativo. Infatti, gli elementi integratori della prova costituita da dichiarazioni rese da
un imputato dello stesso reato o di un reato connesso, ex art. 192 c.p.p., comma 3, possono essere
della più varia natura, e quindi anche di carattere logico, purché riconducibili a fatti esterni a
quelle dichiarazioni” (Cass. pen. VI sez., n. 41352/2010 e giurisprud. ivi richiamata).
Nello stesso senso Cass. pen. Sez. Vi n. 42705/2010 “In tema di valutazione della chiamata
in correità proveniente da un soggetto che abbia reso dichiarazioni complesse, oggetto della
valutazione è la dichiarazione globale del chiamante, relativamente ad un determinato episodio
criminoso nelle sue componenti oggettive e soggettive, e non ciascuno dei punti dallo stesso riferiti.
Ne consegue che per stabilire l’attendibilità di una dichiarazione concernente più chiamate fra loro
strettamente collegate, si può tener conto anche solo di alcuni aspetti significativi di essa, in modo
che, una volta effettuata l’operazione con esito positivo, il giudice di merito possa legittimamente
riconoscere valore probatorio a tutta la dichiarazione e non solo a quella specificamente
riscontrata.”
La conseguenza, sul piano ermeneutico, è che le dichiarazioni di un correo che descrive un
complesso fenomenico che, nella sua generalità, si è dimostrato attendibile, non possono essere
messe in discussione se, nel riferire una quantità significativa di episodi, incorra in qualche errore di
dettaglio o non emerga quel riscontro oggettivo principe quale la c.d. smoking gun o il documento
formale di natura negoziale che impegni i sodali allo svolgimento dell’attività criminosa.
Il riscontro, sul piano logico, di un singolo fatto può essere ragionevolmente rinvenuto
allorché esso si inserisca – senza palesi contraddizioni – in un contesto più generale che ha trovato
oggettive e positive verifiche esterne.
Nel caso di specie, non trova concordanza nei fatti processuali l’affermazione difensiva che
la sanzione al Serafini sia stata fatta, da un lato, sulla sola base di una ed una sola dichiarazione
(quella del Gervasoni) e che tale elemento non sia stato oggetto di puntuale sindacato da parte del
giudice di prime cure.
Infatti, il coinvolgimento del Serafini nell’alterazione della gara Salernitana –Albinoleffe del
18.4.2009 emerge non solo dalle affermazioni di Gervasoni, rese all’A.G. ordinaria il 22.12.2011 ed
il 27.12.2011 ma esse sono state puntualmente confermate dal Carobbio, dinanzi alla stessa Autorità
il 19 gennaio successivo: entrambi hanno indicato il Serafini come calciatore partecipe del progetto,
riferendo l’accordo intercorso come pacificamente concluso e inserito in un contesto di collaudata
reiterazione del reato e con la partecipazione di giocatori, come il Ruopolo ed il Narciso che o
hanno ammesso il loro coinvolgimento diretto o hanno comunque riferito, come pacifica
circostanza, l’avvenuta “combine” e la partecipazioni di più giocatori dell’Albinoleffe.
Le dichiarazioni dei calciatori che, come ha ricordato la Procura in dibattimento, hanno
richiesto l’applicazione delle sanzioni ex artt. 23 e 24 C.G.S., appaiono dotate di sicura genuinità e
forniscono adeguato e reciproco – ma non solo – riscontro sia del fenomeno associativo che
dell’avvenuta concretizzazione del patto illecito dimostrandosi prive di significative contraddizioni
sui luoghi o momenti degli incontri.
Lo stesso Serafini, al di là di generiche affermazioni negatorie, ha confermato sia il legame
amicale col Gervasoni che la frequentazione col Carobbio e fornisce, involontariamente, una
possibile, diversa chiave di lettura del suo coinvolgimento, ovvero l’assenza – in quella gara – di
Conteh (altro giocatore partecipe del sodalizio) che imponeva di assicurare la fattiva partecipazione
al progetto di un altro giocatore affidabile.
L’organicità di una siffatta procedura la si ricava, peraltro, anche dalla “naturalezza” dei
contatti che si instaurano alla vigilia degli incontri e che fanno dire al Ruopolo (cfr. verbale Procura
Federale del 7.3.2012) che non sempre vi era bisogno di preventiva riunione dei giocatori.
L’accordo, quindi, nel caso in esame, poteva concludersi de plano anche senza ricorrere a inutili
formalità.
Non si riscontra, invece, nell’atto di deferimento quanto affermato dalla difesa allorché
riferisce che la Procura (pag. 3 della memoria” avrebbe ammesso l’insussistenza di contatti tra i
giocatori o dazioni di denaro oppure l’esistenza di utenze riservate.
A ben vedere, al contrario, la Procura Federale, a pag. 68 del deferimento che precede
osserva che “Le dichiarazioni autoeteroaccusatorie di Gervasoni (peraltro su una gara non oggetto
di indagine della Procura di Cremona e quindi allo stesso non addebitata) risultano attendibili in
quanto si appalesano precise e circostanziate sull’indicazione dei partecipanti, sulla sequenza degli
eventi, sull’entità delle dazioni di denaro e sulla tempistica e modalità di consegna delle somme ai
partecipanti all’accordo…”.
Quanto acquisito su di un piano comunque “probatorio”- per le ragioni che seguono – ad
avviso di questa Corte appare assolutamente idoneo a concretizzare la responsabilità del giocatore
Mattia Serafini in ordine alla contestazione mossa dalla Procura Federale e condivisa dal Giudice di
prime cure il quale, a differenza di quanto assunto dalla difesa, nel valutare la richiesta del
requirente, ha analizzato le dichiarazioni di Gervasoni, Carobbio e Ruopolo nonché quella di
Serafini, criticando l’argomentazione di quest’ultimo circa una presunto valore di estraneità
rappresentato dall’aver segnato un gol all’ultimo minuto (assolutamente ininfluente sul buon esito
del patto illecito).
Appare a questo Collegio che gli elementi che precedono, tra loro assolutamente congruenti
e non assistiti da diversa rappresentazione dei fatti o evidenti contraddizioni, siano idonei a
confermare l’affermata responsabilità del giocatore Mattia Serafini.
Infatti, quanto all’intensità e valenza del livello probante delle acquisizioni deve ricordarsi
come il TNAS, più volte invocato nel corso del giudizio innanzi questa Corte, abbia affermato, in
procedimenti similari a quello odierno che “per ritenere la responsabilità da parte del soggetto
incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della
commistione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera
astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. Tale definizione
dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in
materia di violazione delle norme antidoping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto,
per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice
valutazione delle probabilità , ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. A tale
principio deve assegnarsi una portata generale, sicché deve ritenersi sufficiente un grado inferiore
di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una
ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito” (TNAS Amodio/FIGC del 10.2.2012,
principio confermato in TNAS Signori/FIGC del 26.4.2012 “per irrogare la condanna di un
illecito sportivo è sufficiente un grado di prova superiore al generico livello probabilistico, non
essendo necessaria, al contrario, né la certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né
il superamento del ragionevole dubbio. Ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di
garantire, attraverso una rapida e certa repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle
gare e, per essa, i fondamentali valori giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle
competizioni (art. 1 legge n. 401/1998); fine da perseguire peraltro con assai più limitati strumenti
di indagine rispetto a quelli a disposizione dell’A.G.O.”)
Ora, anche a voler trascendere da ogni disquisizione circa l’esatto limite tra probabilità
rafforzata e raggiungimento di un convincimento oltre ogni possibile dubbio, si deve affermare che
la responsabilità nella commissione dell’illecito sportivo è fattispecie che non può non scontare la
difficoltà dell’acquisizione probatoria in senso pieno, essendo essa ontologicamente e
funzionalmente legata a comportamenti per loro natura sfuggevoli, che trovano quasi sempre il solo
riscontro nelle affermazioni dei partecipi al progetto illecito.
Ma la ricordata difficoltà può essere superata ove si acquisisca una serie organica di
elementi aventi una loro congruità oggettiva e generale che fanno raggiungere, al giudicante, il
sereno convincimento, sulla base delle dichiarazioni e dei riscontri effettuati sulla loro genuinità,
sull’ assoluta verosimiglianza di quanto riferito.
Nel caso in esame non può mettersi in dubbio che il Gervasoni sia stato soggetto a pieno
titolo inserito nell’organizzazione, al pari di Carobbio, e che altri tesserati abbiano dato adesione al
progetto nel momento in cui la squadra di appartenenza disputava determinati incontri suscettibili di
alterazione; che la partita in esame sia stata oggetto di un progetto di “combine” poi realizzatosi;
che i plurimi contatti tra i giocatori coinvolti anche nel presente caso non possano dirsi fortuiti ma
certificativi del vincolo solidale tra di essi raggiunto.
Si tratta, quindi, di circostanze che, sebbene esterne al singolo episodio riguardante il
Serafini, depongono per la genuinità del quadro associativo descritto dai soggetti collaboranti e
delle singoli posizioni dei tesserati all’interno di esso, sia in veste di organizzatori che di semplici
aderenti.
Nel corso del dibattimento non si è, al contrario, raggiunta alcuna prova, alcun serio indizio,
che le dichiarazioni del Gervasoni siano state – soprattutto nel caso di specie – vulnerate da gravi
contraddizioni oppure costruite ad arte per risentimento personale nei confronti di soggetto che ha
confessato avere col dichiarante un rapporto amicale.
D’altronde, il Gervasoni riferisce fatti e circostanze che trovano pieno riscontro nelle
dichiarazioni altrui.
Come dimostrato dal complessivo giudizio di prime cure e a riprova della compiuta, serena
valutazione degli elementi accusatori formulati dalla Procura Federale, nel caso in cui le stesse
dichiarazioni non abbiano trovato il benché minimo riscontro, il soggetto interessato è stato
mandato assolto dallo specifico addebito. Nelle fattispecie oggetto di appello, il riferito
coinvolgimento del Serafini nel progetto (realizzatosi) dell’alterazione della gara Salernitana –
Albinoleffe del 18.4.2009 ha trovato indubbia conferma dalle plurime dichiarazioni che attestano
incontrovertibilmente la cosciente partecipazione del Serafini al disegno criminoso, perfettamente
compatibili con il quadro emergente dalla generale summa dei riscontri raggiunti sull’esistenza
dell’organizzazione, sui soggetti partecipi e sulla fitta rete di rapporti intessuti con i vari tesserati,
conferma non revocata – in generale e nel particolare episodio oggetto di valutazione – nella
presente fase.
Alla luce della complessiva motivazione sopra riportata, il reclamo del tesserato Mattia
Serafini deve essere respinto con conferma integrale, sul punto, della decisione della Commissione
Disciplinare Nazionale.
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Mattia
Serafini e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
37) RICORSO DEL CALC. RICCARDO FISSORE AVVERSO LA SANZIONE DELLA
SQUALIFICA PER ANNI 3 E MESI 9, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, 5,
E 7, C.G.S., IN RELAZIONE ALLE GARE GROSSETO – MANTOVA DEL 15.3.2010,
EMPOLI–MANTOVA DEL 23.3.2010, BRESCIA–MANTOVA DEL 2.4.2010 E
CITTADELLA–MANTOVA DEL 24.4.2010, SEGUITO DEFERIMENTO DEL
PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 –
(Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
Il calciatore Riccardo Fissore, all’epoca dei fatti in contestazione tesserato per la società A.C.
Mantova S.r.l. di Mantova, ha proposto ricorso nei termini abbreviati di cui al Com. Uff. n.
153/A/2012, avverso quanto deciso, nei suoi confronti, dalla Commissione Disciplinare Nazionale,
così come riportato in epigrafe, lamentando l’assoluta ingiustizia della sanzione, asseritamente
irrogatagli solo sulla base della chiamata in correità di Carlo Gervasoni e Filippo Carobbio, ritenute
priva di qualsiasi attendibilità e credibilità nonché contraddittorie e smentita dai fatti e circostanze
addotte dalla difesa.
La difesa del calciatore, rappresentata dagli avv.ti Eduardo Chiacchio e Michele Cozzone,
nonché dal dott. Gianpaolo Calò, ha chiesto l’integrale riforma della decisione del giudice di primo
grado deducendo che quella Commissione Disciplinare avrebbe inflitto la sanzione omettendo di
valutare puntualmente l’attendibilità soggettiva del dichiarante (in tesi motivato da ragioni di
acredine personale) e quella oggettiva, insussistente a ragione delle obiettive incogruenze e
discrasie emergenti per effetto di dichiarazioni testimoniali.
Ci si duole, pertanto, del credito dato dalla Commissione Disciplinare alle affermazioni
autoeteroaccusatorie del Gervasoni, di come esse siano imprecise e generiche, prive di riferimenti
puntuali.
La doglianza è rivolta, quindi, avverso una decisione che si reputa palesemente affetta da
insuperabile carenza probatoria e si chiede che, in riforma, la squalifica inflitta al Fissore sia
annullata.
La vicenda in esame merita di essere puntualizzata, sia dal punto di vista della sua
contestualizzazione materiale che in ordine al suo sviluppo processuale.
Il procedimento, portato nella sua fase di appello alla cognizione questa Corte, ha trovato la
sua origine nel provvedimento di deferimento della Procura Federale che, sulla base di notizie
stampa circa un’indagine penale in corso, ha chiesto ed ottenuto dall’Autorità Giudiziaria Ordinaria
di Cremona, ex art. 2 della legge n. 401/89 ed ex art. 116 c.p.p. , la trasmissione degli atti relativi ad
una complessa attività investigativa – che peraltro costituisce il prosieguo di altre investigazioni già
riferite alla Procura Federale nella primavera-estate del 2011 e già oggetto di cognizione da parte di
questa Corte (vedi fra gli altri, Com. Uff. n. 061/CGF – n. 043/CGF e n. 056/CGF) – riguardante
una capillare associazione delinquenziale finalizzata ad alterare, tramite il fattivo coinvolgimento di
tesserati, i risultati di molte partite del campionato italiano di calcio delle diverse categorie e, per
effetto delle scommesse effettuate sul loro esito, finale o parziale e sul numero delle reti realizzate,
trarre ingenti profitti illeciti.
Sulla base di tale documentazione la Procura Federale ha poi proceduto a svolgere autonoma
attività di accertamento a conferma dei comportamenti illeciti dei tesserati della Federazione che ha
consentito, secondo l’impianto accusatorio posto alla valutazione del giudicante, di acquisire
elementi di oggettivo conforto sulla sussistenza sia della predetta associazione, costituita anche in
dispregio di quanto previsto dall’art. 9 C.G.S., sia della fitta rete di contatti stabili tra i tesserati, tutti
univocamente preordinati al conseguimento delle finalità illecite del sodalizio (ossia quello di
alterare il normale contesto agonistico delle partite, anche attraverso un’intensa opera di
reclutamento, affiliazione o anche solo episodica partecipazione di altri tesserati) sia, da ultimo, di
appurare come il sistema godesse di un’interessata omertà da parte di coloro che, pur non
direttamente partecipi al progetto criminoso, ne traevano profitto effettuando scommesse in
violazione, anche qui, del divieto imposto dall’art. 6 C.G.S..
Su questo quadro di fondo va inserita la specifica vicenda oggetto della presente cognizione.
La Procura Federale, nel suo atto di deferimento alla Commissione Disciplinare Nazionale,
ha contestato al sig. Riccardo Fissore di aver, in concorso con altri calciatori (Carlo Gervasoni e
Alessandro Pellicori) tutti tesserati, all’epoca dei fatti per la società A.C. Mantova S.r.l. nonché
soggetti estranei all’ordinamento sportivo, posto in essere atti diretti ad alterare il regolare
svolgimento della gara Empoli/Mantova del 23.3.2010, nonché omesso di denunciare alla Procura
Federale – come suo preciso obbligo ex art. 7, comma 7 C.G.S. – l’esistenza di progetti finalizzati
ad uguale alterazione delle gare Grosseto/Mantova del 15.3.2010, Brescia/Mantova del 2.4.2010 e
Cittadella/Mantova del 24.4.2010.
Nel provvedimento di accusa la contestazione è stata formulata con il conforto delle
dichiarazioni autoeteroaccusatorie di Carlo Gervasoni, e di Filippo Carobbio (anche se quest’ultimo
riferite ad altri progetti illeciti) e degli elementi di conferma indiretta forniti da Alessandro Pellicori.
In particolare il Gervasoni, interrogato dal G.I.P. di Cremona in data 22.12.2011 aveva
confermato di essere stato coinvolto in una serie di progetti di alterazione di partite e, in ordine alla
partita Empoli/Mantova del 23.3.2010 aveva affermato”…la partita Empoli-Mantova l’abbiamo
fatta con Pellicori e Fissore del Mantova. Quest’ultima l’abbiamo persa 4-0. Abbiamo avuto €
90.000,00”.
Una settimana più tardi, lo stesso calciatore ribadiva al P.M. del Tribunale di Cremona
“Ribadisco il mio coinvolgimento nella partita Empoli-Mantova “fatta” con Fissore e Pellicori. Non
sono sicuro che quest’ultimo abbia giocato nonostante fosse al corrente della combine”. Nella stessa
occasione aveva anche affermato “Ribadisco il mio coinvolgimento anche in Cittadella-Mantova,
“fatta” con Pellicori e Fissore. Quest’ultimo, così come avvenuto in Brescia/Mantova, era a
conoscenza dell’accordo ma non partecipò alla partita…” ed anche che !Quanto alla partita
Grosseto-Mantova del 15 marzo 2010 devo dire che effettivamente ci fu un progetto di
manipolazione. Io mi recai a Grosseto unitamente a Gegic … L’iniziativa non andò in porto. Io mi
limitai a parlare al telefono con Carobbio che all’epoca militava nel Grosseto…” “Non sono a
conoscenza di manipolazioni sulla partita Padova/Mantova. Non so come si spieghi la presenza
degli slavi a Mantova, il giorno dopo la partita…”
Affermazioni di conforme contenuto erano state rilasciate dal giocatore Carobbio al GIP di
Cremona il 20.12.2011 in relazione alla partita Grosseto-Mantova e al Procuratore della Repubblica
di quella città in data 17.4.2012, nelle quali confermava l’esito negativo della “combine” relativa
alla partita Grosseto/Mantova, mentre di particolare interesse appaiono quelle fatte dal giocatore
Pellicori (la cui posizione è stata stralciata) al Procuratore Federale in data 15.3.2012 nelle quali,
pur negando ogni tentativo di alterazione, descrive in modo puntuale e sintomatico, una cena
avvenuta tra lui, Fissore e Gervasoni. Insieme a non meglio indicati “stranieri” legati al mondo del
calcio, forse mediatori, ma dei quali il Gervasoni, qualche giorno dopo, riportò offerte di
“combine”.
La Commissione Disciplinare Nazionale, con specifico riguardo alla partita
Empoli/Mantova del 23.3.2010, ha disposto l’applicazione, su conforme richiesta delle parti, di
sanzioni ai sensi degli artt. 23 e 24 C.G.S. nei confronti del giocatore Gervasoni, e sancito la
responsabilità del calciatore Fissore per violazione dell’art. 7, commi 1,2 e 5, con l’aggravante di
cui al comma 6 C.G.S. e la responsabilità ex art. 7, comma 7 del Fissore in relazione agli incontri
Grosseto/Mantova del 15.3.2010, Brescia/Mantova del 2.4.2010 e Cittadella/Mantova del 24.4.2010
con conseguente irrogazione della complessiva squalifica per anni 3 e mesi 9.
Dinanzi a questa Corte, il giorno 2 luglio 2012, l’avv. Cozzone ha insistito nella tesi
dell’inattendibilità della chiamata in correità del Gervasoni e della necessità che tali dichiarazioni
trovino adeguato riscontro oggettivo, sottolineando come, a suo avviso, allorché il Gervasoni abbia
riferito fatti suscettibili di riscontro questi non siano emersi e concludendo per l’assoluzione del suo
assistito mentre il Procuratore Federale avv. Stefano Palazzi ha ribadito la propria richiesta di
conferma della sanzione inflitta in primo quadro sulla base della credibilità delle dichiarazioni rese
dal Gervasoni e dell’irrilevanza di quelle rilasciate da soggetti estranei all’ordinamento sportivo,
della cui genuinità dubita.
La Corte Esaminati gli atti e valutate appieno le argomentazioni addotte dalle rispettive parti
a sostegno delle loro tesi, ritiene che il ricorso proposto dal calciatore Riccardo Fissore non possa
essere accolto in ragione del fatto che, ad avviso di questo Collegio, la commissione dell’ illecito p.
e p. dall’art. 7 commi 1, 2, e 5 C.G.S. sia più che sufficientemente provato, al pari delle contestate
violazioni dell’art. 7, comma 7 C.G.S..
La difesa dell’appellante ha assunto che le dichiarazioni del Gervasoni si sarebbero limitare
ad asserzioni “il più possibile generiche ed evanescenti”, senza dare alcun resoconto “in qualche
modo plausibile”, che quelle del Carobbio sarebbero solo affermazioni de relato mentre altri
tesserati non avrebbero confermato le “esternazioni” definite “improvvide” del Gervasoni sul
Fissore e nessun esame critico sarebbe stato effettuato in ordine alle presunte contraddizioni
emergenti dalle medesime dichiarazioni in ordine ad alcuni momenti attuativi degli accordi, come
il pagamento delle somme illecitamente pattuite o alle testimonianze di soggetti terzi, asseritamente
contraddicenti la costruzione accusatoria del menzionato Gervasoni.
In sostanza, ci si duole che la Commissione Disciplinare Nazionale abbia irrogato la
sanzione de qua sulla sola affermazione di quest’ultimo e con un abbassamento della soglia di
colpevolezza a livello meramente probabilistico.
La decisione che segue merita che, preliminarmente, la vicenda sia ascritta in un quadro
descrittivo fenomenico e giuridico che ne consenta una migliore intelligibilità della vicenda.
A seguito di notizie stampa circa attività istruttoria condotta dalla Procura della Repubblica
di Cremona in merito all’esistenza di una associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva
mediante alterazione del corretto svolgimento di partite di calcio dei vari campionati svolgentisi
sotto l’egida federale (reato mezzo) ed effettuazione di scommesse in denaro sulle stesse gare,
dall’esito scontato alla luce dell’attività presupposta (reato fine), scommesse in ogni caso vietate ai
tesserati ai sensi dell’art. 6 C.G.S., il Procuratore Federale aveva richiesto agli inquirenti di poter
acquisire copia degli atti di interesse per poter avviare l’azione di propria competenza.
Acquisita, nel corso di proficua e prolungata collaborazione, la documentazione messa a
disposizione dall’Autorità Giudiziaria ordinaria (Procura della Repubblica ed Ufficio del G.I.P. del
Tribunale di Cremona) la Procura Federale ha provveduto ad effettuare attività istruttoria, nel corso
della quale i tesserati, che nella precedente sede avevano fornito ampia ed illuminante
collaborazione, hanno confermato le loro dichiarazioni autoeteroaccusatorie mentre altri hanno
negato il loro coinvolgimento.
Va detto, in primo luogo, che non può dubitarsi (e nessuno degli appellanti ne dubita)
dell’esistenza di una vasta e radicata organizzazione delinquenziale transnazionale gestita, al
vertice, da soggetti estranei all’ordinamento sportivo ma nella quale si collocavano,
indubitabilmente in posizione di assoluto rilievo (vedi, da ultimo, ordinanza custodia cautelare in
calce emessa dal G.I.P. del Tribunale di Cremona del 2 febbraio 2012), tesserati di questa
Federazione, ai quali era stata affidata la responsabilità di coinvolgere altri soggetti, in organico a
società calcistiche, in tutte le fasi, preparatorie ed esecutive, del disegno criminoso, nonché di
“garantire” il buon esito degli accordi illeciti.
Il raggiunto grado di certezza – anche se allo stato di indagini preliminari penali – della sua
esistenza, delle sue dimensioni transazionali e della sua pericolosità, ancorché acclarata nell’ambito
di un ordinamento giudiziario diverso e indipendente rispetto all’ordinamento sportivo (autonomia
dell’ordinamento sportivo confermata dalla Corte Costituzionale in sent. n. 49/2011), non può non
essere assunto come dato acquisito nel presente procedimento, anche se le risultanze cui si è
pervenuti in quella sede debbano essere intese solo come risultato fattuale e senza che questo privi
l’autorità sportiva del potere di procedere ad autonome verifiche e acquisizioni istruttorie sui fatti
illeciti addebitati a soggetti giuridici sottoposti a questo ordinamento. Né, del pari, viene meno la
possibilità di pervenire, sugli stessi fatti materiali, ad un convincimento proprio, fondato appunto su
una distinta valutazione circa la sussistenza o meno di comportamenti costituenti violazione di
norme federali.
Questo non esclude, ovviamente, che si possa giungere a coerenti e collimanti affermazioni
di responsabilità, atteso che norme penali e regole federali hanno, pur con genesi diversa e
procedimentalizzazioni perspicue, finalità omogenee quanto al ripristino dell’ordine violato e
all’affermazione di principi superindividuali ed essenziali per l’organizzazione sociale..
Principi e regolae iuris che pur esplicando la loro diretta ed immediata incidenza
nell’ordinamento che li prevedono, non escludono che la loro essenza possa essere – per la loro
forza persuasiva e intrinseca condivisione – trasfusa in ordinamenti diversi nella generale esigenza,
propria di ogni società civile, di salvaguardare – sempre e comunque – i valori etici fondanti ogni
communitas, antica o moderna che sia.
La valenza generale di principi di diritto comune (nel rispetto dell’autonomia degli
ordinamenti) fa sì che anche nell’ordinamento sportivo – e federale in questo caso – ogni
responsabilità sia affermata in base ad oggettivi riscontri e non mere illazioni, dicerie, congetture
che non hanno dignità di prova o di argomento di prova.
Nell’implicito richiamo a questo principio cardine di ogni sistema processuale la difesa del
calciatore Fissore ci si lamenta che sia stata irrogata una sanzione gravemente afflittiva in base alle
sole dichiarazioni di soggetto sodale ad un sistema criminoso, rimaste prive di adeguato riscontro
ma anzi, a detta della difesa, clamorosamente smentite dai testi.
Sul punto deve affermarsi che se è vero che l’ordinamento giustiziale federale è improntato a
dare celere risposta alle condotte poste in essere in violazione dei suoi canoni, è altresì vero che una
celere risposta possa essere considerata come mera concretizzazione di una sorta di giustizia
sommaria e meramente indiziaria: celerità e giustizia effettiva non sono termini antitetici di un
sistema ma assolutamente complementari in un contesto processuale che ha quale suo essenziale
scopo quello di ripristinare l’ordine giuridico vulnerato.
E, allora, se l’esigenza era ed è quella di valutare l’efficacia probatoria delle dichiarazioni
autoeteroaccusatorie rese, non può dirsi che ciò non sia stato fatto dal giudice di primo grado solo
per la mancanza di improbabili riscontri oggettivi esterni.
Il parametro cui fare rinvio per valutare le dichiarazioni di Gervasoni è quello posto
dall’art. 192, commi 3 e 4 c.p.p. e la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha avuto
costantemente modo di affermare che “In tema di valutazione della prova, allorché il chiamante in
correità rende dichiarazioni che concernono una pluralità di fatti-reato commessi dallo stesso
soggetto e ripetuti nel tempo, l’elemento esterno di riscontri in ordine ad alcuni di essi fornisce sul
piano logico la necessaria integrazione probatoria a conforto della chiamata anche in relazione
agli altri purché sussistano ragioni idonee a suffragare un tale giudizio e ad imporre una
valutazione unitaria delle dichiarazioni accusatorie, quali l’identica natura dei fatti in questione,
l’identità dei protagonisti o di alcuni di loro, l’inserirsi dei fatti in un rapporto intersoggettivo
unico e continuativo. Infatti, gli elementi integratori della prova costituita da dichiarazioni rese da
un imputato dello stesso reato o di un reato connesso, ex art. 192 c.p.p., comma 3, possono essere
della più varia natura, e quindi anche di carattere logico, purché riconducibili a fatti esterni a
quelle dichiarazioni” (Cass. pen. VI sez., n. 41352/2010 e giurisprud. ivi richiamata).
Nello stesso senso Cass. pen. Sez. Vi n. 42705/2010 “In tema di valutazione della chiamata
in correità proveniente da un soggetto che abbia reso dichiarazioni complesse, oggetto della
valutazione è la dichiarazione globale del chiamante, relativamente ad un determinato episodio
criminoso nelle sue componenti oggettive e soggettive, e non ciascuno dei punti dallo stesso riferiti.
Ne consegue che per stabilire l’attendibilità di una dichiarazione concernente più chiamate fra loro
strettamente collegate, si può tener conto anche solo di alcuni aspetti significativi di essa, in modo
che, una volta effettuata l’operazione con esito positivo, il giudice di merito possa legittimamente
riconoscere valore probatorio a tutta la dichiarazione e non solo a quella specificamente
riscontrata.”
La conseguenza, sul piano ermeneutico, è che le dichiarazioni di un correo che descrive un
complesso fenomenico che, nella sua generalità, si è dimostrato attendibile, non possono essere
messe in discussione se, nel riferire una quantità significativa di episodi, incorra in qualche errore di
dettaglio o non emerga quel riscontro oggettivo principe quale la c.d. smoking gun o il documento
formale di natura negoziale che impegni i sodali allo svolgimento dell’attività criminosa.
Il riscontro, sul piano logico, di un singolo fatto può essere ragionevolmente rinvenuto
allorché esso si inserisca – senza palesi contraddizioni – in un contesto più generale che ha trovato
oggettive e positive verifiche esterne.
Nella fattispecie in esame va detto che le dichiarazioni del giocatore Gervasoni non possono,
ad avviso del Collegio, essere liquidate come “indecentemente contraddittorie ed apodittiche… e
prive del benché minimo riscontro” poiché non solo esse, in generale, trovano ampio e consolidato
riscontro nelle convergenti e non contraddittorie dichiarazioni di altri tesserati, ma anche dalle
risultanze investigative dell’Autorità Giudiziaria ordinaria, acquisite dalla Procura Federale.
Ne è prova la dichiarazione di Carobbio (alla Procura Federale il 29.2.2012) che se è vero
che riporta una affermazione a lui fatta dal Gervasoni, tale asserzione, per il tono ed il contenuto, si
atteggia a mera comunicazione di modalità progettuali di alterazione delle gare assolutamente
collaudate – tanto da potersi definire come “normali”- , nonché di rassicurazione che il progetto
avrebbe avuto la sua concretizzazione malgrado il fatto che lo stesso Gervasoni non avrebbe giocato
la partita Grosseto/Mantova (del 15 marzo 2010).
Lo stesso è a dirsi per la partita con l’Empoli del 23.3.2010 nei confronti della quale il
Gervasoni ammette il suo ruolo e menziona i soggetti che, necessariamente, aveva dovuto
coinvolgere per la positiva soluzione del disegno illecito. E uguale affermazione riguarda la
“combine” progettata per Brescia-Mantova del 2.4.2010 e Cittadella-Mantova del 24.4.2010.
Ne emerge un quadro di stabili rapporti che, allocato in un arco temporale estremamente
ristretto, dimostrano come il legame tra Gervasoni, Fissore e Pellicori sia stato assolutamente
collaudato e funzionale al più generale progetto associativo, del quale garantivano, con la loro
disponibilità, il raggiungimento della finalità lucrativa.
Lo stesso Pellicori, pur mantenendo una posizione formalmente negatoria non ha potuto
esimersi dal riferire una circostanza che è assolutamente sintomatica della stabilità dei rapporti e
dell’intima e leale collaborazione: la cena con Gervasoni e Fissore, nei pressi di Verona (località
distante dalle residenze), insieme a soggetti stranieri che altri non erano che i vertici
dell’organizzazione criminosa.
Pellicori ammette la riunione conviviale, anche se ha cercato di avvalorare una sorta di
illibatezza e di candore, sua e del Fissore, asseritamente dimostrata dall’esser stati confinati da un
lato del tavolo mente dall’altro i sodali dell’organizzazione tessevano accordi illeciti.
La spiegazione è, a tutto voler concedere, incredibile perché essa dimostra non solo
l’assenza di ogni acredine tra Fissore e Gervasoni (come addotto dalla difesa) ma anche che i due
erano calciatori dei quali era provata la leale partecipazione ai progetti illeciti poiché, in caso
contrario e volendo aderire alla tesi difensiva, sarebbe stato enormemente pericoloso avere al
proprio tavolo soggetti inaffidabili.
L’organicità di una siffatta procedura la si ricava, peraltro, anche dalla “naturalezza” dei
contatti che si instaurano alla vigilia degli incontri e che dimostrano, ancor più, come il
coinvolgimento del Fissore sia il portato di una struttura collaudata che, proprio per la correntezza
dei rapporti non richiedeva che alla vigilia di ogni incontro vi dovessero essere formali riunioni
collegiali per la definizione di modalità attuative di accordi già conclusi a monte.
Alcun valore contrario portano, poi, le testimonianze cui la difesa annette un significativa
importanza per smentire le dichiarazioni accusatorie.
Ritenuto da questa Corte che le affermazioni di Gervasoni circa le modalità di pagamento
del pretium sceleris, dopo la partita Empoli/Mantova, non mostrano tutta la loro infondatezza (come
assunto dalla difesa) per il fatto che, invece, il modus operandi degli “zingari” era quello di pagare
prima della partita e non dopo (come se una modalità non possa soffrire eccezioni), allo stesso esito
ininfluente portano le dichiarazioni del giocatore Feltre che, dopo la stessa partita, assume di aver
preso a bordo della propria auto il Fissore e di averlo condotto a Padova, dove l’aspettava la
fidanzata.
Al di là di ogni disquisizione sulla genuinità di una simile dichiarazione, non supportata da
alcun riscontro esterno circa i tempi di svolgimento, vi è da dire che non vi è prova che durante il
tragitto tra Empoli e Padova non possa esservi stata una deviazione (peraltro non gravosa) per
Mantova, in modo che tutti i partecipi dell’illecito potessero incassare dal Gervasoni la loro parte.
Quanto acquisito su di un piano comunque “probatorio”- per le ragioni che seguono – ad
avviso di questa Corte – appare allora assolutamente idoneo a concretizzare la responsabilità del
calciatore Riccardo Fissore in ordine alla contestazione mossa dalla Procura Federale e condivisa
dal giudice di prime cure il quale, a differenza di quanto assunto dalla difesa, nel valutare la
richiesta del requirente, ha analizzato le dichiarazioni di Gervasoni, Carobbio e Pellicori inserendole
in un contesto organico e perfettamente credibile.
Appare, pertanto, a questo Collegio che gli elementi che precedono, tra loro assolutamente
congruenti e non assistiti da diversa rappresentazione dei fatti o evidenti contraddizioni, siano
idonei a confermare l’affermata responsabilità del calciatore Riccardo Fissore.
Infatti, quanto all’intensità e valenza del livello probante delle acquisizioni deve ricordarsi
come il TNAS, più volte invocato nel corso del giudizio innanzi questa Corte, abbia affermato, in
procedimenti similari a quello odierno che “per ritenere la responsabilità da parte del soggetto
incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della
commistione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera
astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. Tale definizione
dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in
materia di violazione delle norme antidoping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto,
per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice
valutazione delle probabilità , ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. A tale
principio deve assegnarsi una portata generale, sicché deve ritenersi sufficiente un grado inferiore
di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una
ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito” (TNAS Amodio/FIGC del 10.2.2012,
principio confermato in TNAS Signori/FIGC del 26.4.2012 “per irrogare la condanna di un
illecito sportivo è sufficiente un grado di prova superiore al generico livello probabilistico, non
essendo necessaria, al contrario, né la certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né
il superamento del ragionevole dubbio. Ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di
garantire, attraverso una rapida e certa repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle
gare e, per essa, i fondamentali valori giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle
competizioni (art. 1 legge n. 401/1998); fine da perseguire peraltro con assai più limitati strumenti
di indagine rispetto a quelli a disposizione dell’A.G.O.”)
Ora, anche a voler trascendere da ogni disquisizione circa l’esatto limite tra probabilità
rafforzata e raggiungimento di un convincimento oltre ogni possibile dubbio, si deve affermare che
la responsabilità nella commissione dell’illecito sportivo è fattispecie che non può non scontare la
difficoltà dell’acquisizione probatoria in senso pieno, essendo essa ontologicamente e
funzionalmente legata a comportamenti per loro natura sfuggevoli, che trovano quasi sempre il solo
riscontro nelle affermazioni dei partecipi al progetto illecito.
Ma la ricordata difficoltà può essere superata ove si acquisisca una serie organica di
elementi aventi una loro congruità oggettiva e generale che fanno raggiungere, al giudicante, il
sereno convincimento, sulla base delle dichiarazioni e dei riscontri effettuati sulla loro genuinità,
sull’ assoluta verosimiglianza di quanto riferito.
Nel caso in esame non può mettersi in dubbio che il Gervasoni sia stato soggetto a pieno
titolo inserito nell’organizzazione, al pari di Carobbio, e che altri tesserati abbiano dato adesione al
progetto nel momento in cui la squadra di appartenenza disputava determinati incontri suscettibili di
alterazione; che le partite in esame siano state oggetto di progetti di “combine” poi realizzatisi o
meno per circostanze non sempre derivanti da resipiscenze dei partecipi; che i plurimi contatti tra i
giocatori coinvolti anche nel presente caso non possano dirsi fortuiti ma certificativi del vincolo
solidale tra di essi raggiunto.
Si tratta, quindi, di circostanze che, sebbene esterne ad ogni singolo episodio riguardante il
Fissore, depongono per la genuinità del quadro associativo descritto dai soggetti collaboranti e delle
singoli posizioni dei tesserati all’interno di esso, sia in veste di organizzatori che di semplici
aderenti.
Nel corso del dibattimento non si è, al contrario, raggiunta alcuna prova, alcun serio indizio,
che le dichiarazioni del Gervasoni siano state – soprattutto nel caso di specie – vulnerate da gravi
contraddizioni oppure costruite ad arte per risentimento personale nei confronti di soggetto che ha
confessato avere col dichiarante un rapporto amicale.
D’altronde, il Gervasoni riferisce fatti e circostanze che trovano pieno riscontro nelle
dichiarazioni altrui.
Come dimostrato dal complessivo giudizio di prime cure e a riprova della compiuta, serena
valutazione degli elementi accusatori formulati dalla Procura Federale nelle fattispecie oggetto di
appello, il riferito coinvolgimento del Fissore nel progetto (realizzatosi) dell’alterazione della gara
Empoli/Mantova ed in quello non realizzatosi delle partite Grosseto/Mantova, Brescia/Mantova e
Cittadella/Mantova ha trovato indiretta ma sicura conferma nelle dichiarazioni del Pellicori e in
quelle del Carobbio che attestano incontrovertibilmente la cosciente partecipazione del Fissore al
disegno criminoso. Tutte fattispecie perfettamente compatibili con il quadro emergente dalla
generale summa dei riscontri raggiunti sull’esistenza dell’organizzazione, sui soggetti partecipi e
sulla fitta rete di rapporti intessuti con i vari tesserati, conferma non revocata – in generale e nel
particolare episodio oggetto di valutazione – nella presente fase.
Alla luce della complessiva motivazione sopra riportata, il reclamo del tesserato Riccardo
Fissore deve essere respinto con conferma integrale, sul punto, della decisione della Commissione
Disciplinare Nazionale.
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Riccardo
Fissore e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
38) RICORSO DEL CALC. EDOARDO CATINALI AVVERSO LA SANZIONE DELLA
SQUALIFICA PER MESI 9, INFLITTA AI SENSI DEGLI ARTT. 6, E ART. 7 COMMA 7,
C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA ALBINOLEFFE – PIACENZA DEL 20.12.2010,
SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-
12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n.
101/CDN del 18.6.2012)
Con ricorso preannunciato e formalizzato nei termini abbreviati di cui al Com. Uff. n. 153/A/2012,
il sig. Edoardo Catinali, calciatore – all’epoca dei fatti tesserato per la Piacenza Calcio F.C. S.p.A. -,
ha proposto reclamo avverso quanto deciso, nei suoi confronti, dalla Commissione Disciplinare
Nazionale, così come riportato in epigrafe, lamentando l’assoluta infondatezza della tesi accusatoria
condivisa dal giudice di prime cure, non solo in relazione a fattispecie di illecito sportivo (non
oggetto di devoluzione in questa sede) ma anche e soprattutto con riferimento all’ipotesi di aver
omesso di denunciare il disegno illecito di alterare il regolare svolgimento della gara
Albinoleffe/Piacenza del 20 dicembre 2010, di cui sarebbe stato a conoscenza nonché di aver
effettuato, profittando di quanto a sua conoscenza, una scommessa in denaro sulla medesima partita.
La difesa del calciatore, rappresentata dagli avv.ti Eduardo Chiacchio, Rosita Gervasio e
Michele Cozzone ha chiesto l’integrale riforma della decisione del giudice di primo grado
lamentandone l’incongrua e insufficiente costruzione motivazionale e probatoria, quest’ultima
fondata sulle sole dichiarazioni accusatorie di Carlo Gervasoni, recepite integralmente dalla
Commissione Disciplinare che, contestualmente, avrebbe negato rilievo alle favorevoli
testimonianze rese da altri.
Ci si duole, pertanto, del credito dato dalla Commissione Disciplinare Nazionale alle
affermazioni autoeteroaccusatorie del Gervasoni, asseritamente prive di alcun riscontro oggettivo
per quanto riguarda la condotta del Catinali, rilasciate peraltro tardivamente, in maniera laconica,
non puntuale, connotate anche da talune contraddizioni, inquinate forse da un risentimento astioso
verso il Catinali e senza che la stessa Commissione abbia dato, invece, il minimo rilievo alle
dichiarazioni – di segno contrario – rilasciate da altri tesserati in relazione al medesimo contesto
sportivo oggetto di indagine (partita Albinoleffe/Piacenza del 20 dicembre 2010) e alle asserzioni di
talaltro circa la correttezza sportive dello stesso giocatore.
La doglianza è rivolta, quindi, avverso una decisione asseritamente viziata da carenza
probatoria a supporto della sanzione inflitta all’esito di un procedimento indiziario e si chiede che,
in riforma, la squalifica inflitta al Catinali, in riferimento a due precise fattispecie, sia revocata con
assoluzione del medesimo da ogni addebito.
Per una migliore intelligenza delle questioni oggetto di cognizione, va detto, al riguardo,
che il procedimento in esame trae origine dal deferimento operato dalla Procura Federale sulla base
di risultanze investigative della Procura della Repubblica di Cremona in merito ad una vasta
associazione delinquenziale finalizzata ad alterare, tramite il fattivo coinvolgimento di tesserati, i
risultati di molte partite del campionato italiano di calcio delle diverse categorie e, per effetto delle
scommesse effettuate sul loro esito, finale o parziale e sul numero delle reti realizzate, trarre ingenti
profitti illeciti.
L’autonoma attività della Procura Federale consentiva, secondo l’impianto accusatorio, di
acquisire elementi di oggettivo conforto sulla sussistenza sia di un’associazione creata in dispregio
di quanto previsto dall’art. 9 C.G.S., sia della fitta rete di contatti stabili tra i tesserati,
assolutamente congruenti allo scopo del sodalizio (ossia quello di alterare il normale contesto
agonistico delle partite, anche attraverso un’intensa opera di reclutamento, affiliazione o anche solo
episodica partecipazione di altri tesserati) sia, da ultimo, di appurare come il sistema godesse di
un’interessata omertà da parte di coloro che, pur non direttamente partecipi al progetto criminoso,
ne traevano profitto effettuando scommesse in violazione, anche qui, del divieto imposto dall’art.6
C.G.S..
Su questo quadro di fondo va inserita la specifica vicenda oggetto della presente cognizione.
La Procura Federale, nel suo atto di deferimento alla Commissione Disciplinare Nazionale
ha assunto che Carlo Gervasoni, in dichiarazioni rese alla Autorità Giudiziaria ordinaria di
Cremona, in contesti temporali ravvicinati e comunque nel periodo dicembre 2011-marzo 2012 e,
subito dopo (aprile 2012), agli inquirenti della F.I.G.C., aveva riferito che per quanto riguardava la
partita Albinoleffe/Piacenza del 20.12.2010, il suo collega Cassano, anche lui calciatore – all’epoca
– del Piacenza, gli aveva riferito che la gara era stata oggetto di un accordo illecito tra le due società
e, in epoca successiva, gli aveva anche confidato, nel confermargli la consumazione del pactum
sceleris, alcuni particolari sulle modalità e tempi dell’accordo. Personalmente, poi, lo stesso
Gervasoni era stato testimone di episodi che ex post, indirettamente avrebbero confermato
l’avvenuta “combine”.
Invero, i tesserati autori delle “confidenze” hanno negato, agli inquirenti federali, di aver
riferito allo Gervasoni quei fatti o quelle circostanze descritte dal medesimo all’A.G., oppure di
essere stati presenti ad episodi che si presentavano, per modalità e luoghi, compatibili con la
realizzazione dell’illecito ma la Procura Federale ha ritenuto superabili tali dichiarazioni negatorie
sulla base dei riscontri indiretti che deponevano, per taluni di loro, per l’affiliazione all’associazione
criminosa o per la loro diretta partecipazione al progetto di alterare singole gare, per cui ha
provveduto ad emettere l’atto di deferimento.
La Commissione Disciplinare Nazionale, con specifico riguardo alla partita
Albinoleffe/Piacenza del 20.12.2010, ha sancito la responsabilità per violazione dell’art. 7, commi
1, 2 e 5, con l’aggravante di cui al comma 6 C.G.S., dei tesserati Cassano, Rickel e De Falco, per
quella ex art. 7, comma 7 C.G.S. dei tesserati Catinali e Cossato e per violazione dell’art. 6 C.G.S.
dei tesserati Cassano, Catinali, Cossato e Zamperini.
Analoga e conseguente responsabilità è stata sancita per le società di appartenenza coinvolte.
Il sig. Catinali è stato invece assolto dal deferimento ex art. 7, commi 1,2 e 5 C.G.S. non essendo
“stata raggiunta la piena prova” di un suo ruolo attivo nell’illecito.
Dinanzi a questa Corte il giorno 2 luglio 2012, l’avv. Eduardo Chiacchio e il Procuratore
Federale avv. Stefano Palazzi hanno ribadito le proprie tesi e concluso per l’accoglimento delle
rispettive domande.
La Corte esaminati gli atti e valutate appieno le argomentazioni addotte dalle rispettive parti
a sostegno delle loro tesi, ritiene che il ricorso proposto dal tesserato Edoardo Catinali non possa
essere accolto.
Le contestazioni, in punto di fatto e in sintesi, sono due: 1) l’aver omesso di denunciare
l’illecito accordo finalizzato ad alterare lo svolgimento e l’esito della gara Albinoleffe/Piacenza
del 20 dicembre 2010; 2) aver effettuato, sul medesimo incontro, una scommessa in denaro.
L’appellante si duole del fatto che la Commissione Disciplinare Nazionale abbia irrogato la
sanzione de qua condividendo appieno la tesi accusatoria, completamente fondata – a suo avviso –
sulle dichiarazioni rese del calciatore Carlo Gervasoni dinanzi alla Autorità Giudiziaria ordinaria e
alla Procura Federale ma senza sottoporre ad analisi critica le asserzioni – di segno opposto – rese
da altri tesserati.
La decisione che segue merita di essere ascritta in un quadro descrittivo fenomenico e
giuridico che consente una migliore intelligibilità della vicenda.
A seguito di notizie stampa circa attività istruttoria condotta dalla Procura della Repubblica
di Cremona in merito all’esistenza di una associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva
mediante alterazione del corretto svolgimento di partite di calcio dei vari campionati svolgentisi
sotto l’egida federale (reato mezzo) ed effettuazione di scommesse in denaro sulle stesse gare,
dall’esito scontato alla luce dell’attività presupposta (reato fine), scommesse in ogni caso vietate ai
tesserati ai sensi dell’art. 6 C.G.S., il Procuratore Federale aveva richiesto agli inquirenti di poter
acquisire copia degli atti di interesse per poter avviare l’azione di propria competenza.
Acquisita, nel corso di proficua e prolungata collaborazione, la documentazione messa a
disposizione dall’Autorità Giudiziaria ordinaria (Procura della Repubblica ed Ufficio del G.I.P. del
Tribunale di Cremona) la Procura Federale ha provveduto ad effettuare attività istruttoria, nel corso
della quale i tesserati, che nella precedente sede avevano fornito ampia ed illuminante
collaborazione, hanno confermato le loro dichiarazioni autoeteroaccusatorie mentre altri hanno
negato il loro coinvolgimento.
Va detto, in primo luogo, che non può dubitarsi (e nessuno degli appellanti lo contesta)
dell’esistenza di una vasta e radicata organizzazione delinquenziale transnazionale gestita, al
vertice, da soggetti estranei all’ordinamento sportivo ma nella quale si collocavano
indubitabilmente in posizione di assoluto rilievo (vedi, da ultimo, ordinanza custodia cautelare in
calce emessa dal G.I.P. del Tribunale di Cremona del 2 febbraio 2012) tesserati di questa
Federazione, ai quali era stata affidata la responsabilità di coinvolgere altri tesserati in tutte le fasi,
preparatorie ed esecutive, del disegno criminoso nonché di “garantire” il buon esito degli accordi
illeciti.
Il raggiunto grado di certezza – anche se allo stato di indagini preliminari penali – della sua
esistenza, delle sue dimensioni transazionali e della sua pericolosità, ancorché acclarata nell’ambito
di un ordinamento giudiziario diverso e indipendente rispetto all’ordinamento sportivo (autonomia
dell’ordinamento sportivo confermata dalla Corte Costituzionale in sent. n. 49/2011), non può non
aver riflessi incidenti in quest’ultimo, anche se le risultanze cui si è pervenuti in quella sede
debbano essere intese solo come risultato fattuale suscettivo di autonoma valutazione, senza
elisione della possibilità di procedere sia ad autonome acquisizioni istruttorie circa fatti indicanti
responsabilità personali od oggettive sia alla formazione di un convincimento proprio, fondato
appunto su una distinta valutazione circa la sussistenza o meno di comportamenti costituenti
violazione di norme federali.
Autonomia di giudizio che non esclude, ovviamente, che si possa giungere a coerenti e
sovrapponibili affermazioni di responsabilità, atteso che norme penali e regole federali hanno, pur
con genesi diversa e procedimentalizzazioni perspicue, finalità omogenee quanto all’affermazione
di comportamenti rispettosi di principi superindividuali ed essenziali per l’organizzazione sociale
che costituisce il sostrato applicativo di entrambi gli ordinamenti .
Principi e regole che pur, esplicando la loro diretta ed immediata incidenza nell’ordinamento
che li prevedono, non escludono che la loro essenza possa essere – per la loro forza persuasiva e
intrinseca condivisione e anche nell’impossibilità di un loro puntuale richiamo e rinvio – trasfusa in
ordinamenti diversi nella generale esigenza, propria di ogni società civile, di salvaguardare –
sempre e comunque – i valori etici fondanti ogni communitas, antica o moderna che sia.
La vigenza di principi fondamentali, comuni in tutti gli ordinamenti fa sì che anche
nell’ordinamento sportivo – e federale in questo caso – ogni responsabilità sia affermata in base ad
oggettivi riscontri e non mere illazioni, dicerie, congerie che non hanno dignità di prova o
argomento di prova.
Nell’implicito richiamo a questo principio cardine di ogni sistema processuale la difesa del
sig. Catinali si duole che il suo assistito sia stato punito, con sanzione gravemente afflittiva, in base
alle sole dichiarazioni di soggetto sodale ad un sistema criminoso che avrebbe coinvolto il Catinali
solo in un momento successivo rispetto alle sue prime dichiarazioni accusatorie e rimaste
asseritamente prive di oggettivi riscontri.
Sul punto deve affermarsi che se è vero che l’ordinamento giustiziale federale è improntato a
dare celere risposta ai comportamenti che vengono portati alla sua cognizione per il rispetto di
un’esigenza di ordine pubblico delle manifestazioni sportive, è altresì vero che la risposta non può
concretizzarsi in una sorta di giustizia sommaria e meramente indiziaria: celerità e giustizia effettiva
non sono termini antitetici di un sistema ma assolutamente complementari in un contesto
processuale che ha quale suo essenziale scopo quello di ripristinare l’ordine giuridico violato.
E, allora, se l’esigenza era ed è quella di valutare l’efficacia probatoria delle dichiarazioni
rese dal Gervasoni non può dirsi che ciò non sia stato fatto dal giudice di primo grado solo per la
mancanza di improbabili riscontri oggettivi esterni o perché non si sia dato credito a dichiarazioni
che appaiono, prima facie, prive di essenziali connotazioni di disinteresse e genuinità oppure non
manifestamente rilevanti.
Il naturale termine di paragone cui fare rinvio per valutare le dichiarazioni di Gervasoni è
quello posto dall’art. 192, commi 3 e 4 c.p.p. e la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione
ha avuto costantemente modo di affermare che “In tema di valutazione della prova, allorché il
chiamante in correità rende dichiarazioni che concernono una pluralità di fatti-reato commessi
dallo stesso soggetto e ripetuti nel tempo, l’elemento esterno di riscontri in ordine ad alcuni di essi
fornisce sul piano logico la necessaria integrazione probatoria a conforto della chiamata anche in
relazione agli altri purché sussistano ragioni idonee a suffragare un tale giudizio e ad imporre una
valutazione unitaria delle dichiarazioni accusatorie, quali l’identica natura dei fatti in questione,
l’identità dei protagonisti o di alcuni di loro, l’inserirsi dei fatti in un rapporto intersoggettivo
unico e continuativo. Infatti, gli elementi integratori della prova costituita da dichiarazioni rese da
un imputato dello stesso reato o di un reato connesso, ex art. 192 c.p.p., comma 3, possono essere
della più varia natura, e quindi anche di carattere logico, purché riconducibili a fatti esterni a
quelle dichiarazioni” (Cass. pen. VI sez., n. 41352/2010 e giurisprud. ivi richiamata).
La conseguenza, sul piano ermeneutico, è che le dichiarazioni di un correo che descrive un
complesso fenomenico che, nella sua generalità, si è dimostrato attendibile, non possono essere
messe in discussione se, nel riferire una quantità significativa di episodi, incorra in qualche errore di
dettaglio o non emerga quel riscontro oggettivo principe quale la c.d. smoking gun o il documento
formale di natura negoziale che impegni i sodali allo svolgimento dell’attività criminosa.
Il riscontro, sul piano logico, di un singolo fatto può essere ragionevolmente rinvenuto
allorché esso si inserisce – senza palesi contraddizioni – in un contesto più generale che ha trovato
oggettive e positive verifiche esterne.
Nel caso di specie, l’alterazione della partita Albinoleffe/Piacenza ha assunto, nelle stesse
risultanze dell’A.G. ordinaria, ruolo di assoluto emblema dell’attività associativa illecita,
apprezzabile dall’anomalo ammontare delle scommesse e dalla particolare caratteristica
rappresentata dal singolare risultato over delle segnature.
Di questo singolo episodio il Gervasoni riferisce, in un primo momento, al GIP di Cremona,
in data 22.12.2012, “so solo per sentito dire relativamente alla partita Albinoleffe-Piacenza. Io
giocavo a Cremona” e cinque giorno dopo, al P.M. della stessa città dichiara “Quanto alla partita
Piacenza –Albinoleffe del 20 dicembre 2010 (correttamente Albinoleffe-Piacenza n.d.r.) disputatasi
in un periodo in cui ero a Cremonese, ricordo che Cassano, portiere del Piacenza, quando fui
trasferito a quest’ultima squadra, mi disse che l’incontro era stato combinato dalle due dirigenze.
Secondo il predetto erano d’accordo sia i giocatori che le società tant’è che lo stesso scommise una
certa cifra tramite Zamperini mentre anche i fratelli Cossatto mi riferivano di avere a loro volta
scommesso una somma di denaro dopo aver ricevuto conferma dell’avvenuta manipolazione della
partita grazie a Rickler e Passoni…”
Ancora, alla stessa A.G. in data 12.3.2012 lo stesso Gervasoni riferisce, ad ulteriore
precisazione, di aver saputo, sempre da Cassano, che alcuni giocatori si erano recati dal Direttore
sportivo De Falco per ottenere una sorta di placet alla “combine” e che “anche Catinali del
Piacenza sapeva di questa combine tant’è vero che sia lui che Cassano scommisero una somma per
mezzo di Zamperini”.
Ora, se è vera, sul piano prettamente materiale, la circostanza addotta dalla difesa che la
posizione del Catinali trova descrizione solo in poche righe di tutta la deposizione complessiva del
Gervasoni, è pur vero che questo non è elemento idoneo a rendere meno attendibile o rilevante la
notizia di un coinvolgimento del Catinali – peraltro riportata da soggetto sicuramente inserito
nell’organizzazione e la cui responsabilità e ruolo sono stati accertati senza il minimo dubbio – al
pari dell’argomentazione difensiva che tra i due vi sarebbero stati motivi di antipatia o rancore per
passati episodi.
Infatti, se la marginalità della riferita circostanza potrebbe trovare una sua ipotetica
giustificazione nel mancato inserimento stabile del Catinali nell’organizzazione criminosa (così da
farlo partecipare, attivamente, alla fase progettuale dell’alterazione delle gare), priva di effettivo
rilievo è anche l’argomentazione che il Gervasoni avrebbe coinvolto il Catinali solo per astio,
atteso che il Gervasoni ha riferito episodi illeciti anche su persone con i quali non aveva, per
tabulas, motivi di risentimento (come ammesso dallo stesso Rickel ed anche da Cassano).
Il Gervasoni, per quanto attiene al Catinali, ha solo affermato di aver saputo da Cassano che
questi avrebbe “profittato” della notizia della ideata combine per lucrarci attraverso il correlato giro
di scommesse affidandosi, alla pari del Cassano, ad un personaggio di livello dell’organizzazione,
ovverosia Zamperini.
Su questo, se è vero che Rickel mantiene una posizione assolutamente negatoria, anche su
fatti che invece trovano riscontro nelle attività investigative e che Zamperini ha ammesso dinanzi al
GIP di Cremona un suo coinvolgimento nelle pratiche illecite con Gervasoni, è anche vero che il
tesserato Carobbio parla di un “coinvolgimento” del Catinali con il Cassano per alterare la partita
Siena-Piacenza del 19.2.2011 (dichiarazione al Procuratore Federale del 29.2.1012), confermando
analoga dichiarazione del Gervasoni al P.M. di Cremona del 27.12.2011 dimostrando con ciò,
quanto meno, lo stabile collegamento del Catinali con tutti i soggetti che, a vario titolo, hanno
assunto un ruolo fattivo e costante nell’organizzazione criminale nonché suoi collegamenti con
giocatori, delle varie squadre coinvolti nei tentativi di “combine”.
Non appare così inverosimile, allora, che il Catinali abbia appreso del progetto di accordo
per alterare la partita Albinoleffe–Piacenza sopra descritta e, pur non partecipandovi, non solo abbia
omesso di denunciare il disegno criminoso, come suo preciso dovere ai sensi dell’art. 7, comma 7
C.G.S. ma addirittura, contravvenendo alla norma di cui all’art. 6 C.G.S., effettuato una scommessa
in denaro sulla stessa gara.
Né a diversa conclusione può far giungere il descritto carattere ombroso del Catinali perché
questo dimostrerebbe, semmai, la sua inaffidabilità a renderlo partecipe di un disegno criminoso
non privo di rischi ma non ad impedirgli né di avere stabili contatti con i suoi colleghi coinvolti a
pieno titolo nell’organizzazione né, ancor più, di tacere sulla notitia criminis appresa né, da ultimo,
di effettuare una scommessa.
Né a diversa conclusione può condurre la dichiarazione di stima di De Falco, persona
comunque coinvolta nell’inchiesta.
Quanto acquisito su di un piano comunque “probatorio”- per le ragioni che seguono – ad
avviso di questa Corte appare sufficiente a concretizzare la responsabilità del Catinali in ordine ad
entrambe le fattispecie sanzionate dal giudice di prime cure.
Il TNAS, più volte invocato nel corso del giudizio innanzi questa Corte, ha affermato, in
procedimenti similari a quello odierno “per ritenere la responsabilità da parte del soggetto
incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della
commistione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera
astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. Tale definizione
dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in
materia di violazione delle norme antidoping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto,
per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice
valutazione delle probabilità , ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. A tale
principio deve assegnarsi una portata generale, sicché deve ritenersi sufficiente un grado inferiore
di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una
ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito” (TNAS Amodio/FIGC del 10.2.2012,
principio confermato in TNAS Signori/FIGC del 26.4.2012 “per irrogare la condanna di un
illecito sportivo è sufficiente un grado di prova superiore al generico livello probabilistico, non
essendo necessaria, al contrario, né la certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né
il superamento del ragionevole dubbio. Ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di
garantire, attraverso una rapida e certa repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle
gare e, per essa, i fondamentali valori giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle
competizioni (art. 1 legge n. 401/1998); fine da perseguire peraltro con assai più limitati strumenti
di indagine rispetto a quelli a disposizione dell’A.G.O.”)
Ora, anche a voler trascendere da ogni disquisizione circa l’esatto limite tra probabilità
rafforzata e ragionevolezza del convincimento oltre ogni possibile dubbio, si deve affermare che la
responsabilità nella commissione dell’illecito sportivo è fattispecie che non può non scontare la
difficoltà dell’acquisizione probatoria in senso pieno, essendo essa ontologicamente e
funzionalmente legata a comportamenti per loro natura sfuggevoli, che trovano quasi sempre il solo
riscontro nelle affermazioni dei partecipi al progetto illecito.
Ma la ricordata difficoltà può trovare il suo superamento in un fattore corroborante
rappresentato da un complesso seriale di elementi di congruità oggettiva e generale che fanno
raggiungere, al giudicante, il sereno convincimento, sulla base delle dichiarazioni e dei riscontri
effettuati sulla loro genuinità, della assoluta verosimiglianza di quanto riferito.
Nel caso in esame non può mettersi in dubbio che il Gervasoni sia stato soggetto a pieno
titolo inserito nell’organizzazione, al pari di Carobbio, Zamperini ed altri; che la partita in esame sia
stata oggetto di un progetto di “combine” poi realizzatosi (perché altrimenti non si spiegherebbe
l’anomalo flusso di scommesse vincenti); che i plurimi contatti tra i giocatori coinvolti anche nel
presente caso non possano dirsi fortuiti ma certificativi del vincolo solidale tra di essi raggiunto.
Si tratta, quindi, di circostanze che, sebbene esterne al singolo episodio riguardante il
Catinali, depongono per la genuinità del quadro associativo descritto dai soggetti collaboranti e
delle singoli posizioni dei tesserati all’interno di esso, sia in veste di organizzatori che di semplici
operatori o, di volta in volta, di profittatori omertosi.
Nel corso del dibattimento non si è, al contrario, raggiunta alcuna prova, alcun serio indizio,
che le dichiarazioni del Gervasoni siano state – soprattutto nel caso di specie – vulnerate da gravi
contraddizioni oppure costruite ad arte per risentimento personale nei confronti di soggetti
completamente estranei.
D’altronde, il Gervasoni riferisce le confidenze di un soggetto, il Cassano, sicuramente
partecipe al sodalizio e coinvolto in plurimi progetti criminosi.
Come dimostrato dal giudizio di prime cure e a riprova della compiuta, serena valutazione
degli elementi accusatori formulati dalla Procura Federale, qualora le stesse dichiarazioni non
abbiano trovato il benché minimo riscontro il soggetto interessato (Catinali) è stato mandato assolto
dallo specifico addebito. Nelle fattispecie oggetto di appello, relative all’omessa denuncia del
progetto criminoso a conoscenza e all’effettuazione della scommessa in denaro questa Corte ritiene,
invece, che esse abbiano trovato ragionevole conferma dalla generale summa dei riscontri raggiunti
sull’esistenza dell’organizzazione, sui soggetti partecipi e sulla fitta rete di rapporti intessuti con i
vari tesserati, conferma non revocata nella presente fase.
Alla luce della complessiva motivazione sopra riportata, il reclamo del tesserato Edoardo
Catinali deve essere respinto con conferma integrale, sul punto, della decisione della Commissione
Disciplinare Nazionale.
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Edoardo
Catinali e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
39) RICORSO DEL CALC. VINCENZO ITALIANO AVVERSO LA SANZIONE DELLA
SQUALIFICA PER ANNI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, E 5, C.G.S.,
IN RELAZIONE ALLA GARA PADOVA – GROSSETO DEL 23.3.2010, SEGUITO
DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP
DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN
del 18.6.2012)
Il calciatore Vincenzo Italiano, all’epoca dei fatti in contestazione tesserato per la società Calcio
Padova S.p.A. di Padova, ha proposto ricorso nei termini abbreviati di cui al Com. Uff. n.
153/A/2012, avverso quanto deciso, nei suoi confronti, dalla Commissione Disciplinare Nazionale,
così come riportato in epigrafe, lamentando l’assoluta ingiustizia della sanzione, asseritamente
irrogatagli sulla base delle sole dichiarazioni accusatorie del giocatore Filippo Carobbio, ritenute
prive di qualsiasi attendibilità e riscontro.
La difesa del calciatore, rappresentata dall’avv. Mattia Grassani, ha chiesto l’integrale
riforma della decisione del giudice di primo grado deducendo che la Commissione Disciplinare
Nazionale avrebbe inflitto la sanzione con una decisione “priva di qualsivoglia presupposto, logico
e giuridico, idoneo a supportare i provvedimenti adottati”.
Ci si duole, in particolare, del fatto che la Commissione Disciplinare abbia fondato la sua
decisione commettendo gravi errori di valutazione, distorsione di fatti storici e accreditando come
vere e indiscutibili delle circostanze apprese de relato senza conferire alcun rilievo alle
dichiarazioni di smentita dei giocatori Marco Turati e Vincenzo Italiano. A conforto di queste
ultime e dell’assenza di qualsiasi progetto illecito ha instato per accertamenti istruttori mediante
acquisizione di dichiarazioni del dott. Gino Nassuato, medico sociale del Calcio Padova e del citato
calciatore Marco Turati.
L’articolata doglianza è rivolta, quindi, avverso una decisione che si reputa palesemente
affetta da insuperabile carenza probatoria e motivazionale e si chiede che, in riforma, la squalifica
inflitta al giocatore Italiano venga annullata.
La vicenda in esame merita di essere puntualizzata, sia dal punto di vista della sua
contestualizzazione materiale che in ordine al suo sviluppo processuale.
Il procedimento, che vive la sua fase di appello dinanzi questa Corte, è stato originato dal
provvedimento di deferimento della Procura Federale che, sulla base di quanto previsto ex art. 2
della legge n. 401/89 e dell’art. 116 c.p.p. ha chiesto e ottenuto, dall’Autorità Giudiziaria di
Cremona, la trasmissione degli atti relativi ad una complessa attività di indagine – che peraltro
costituisce il prosieguo di altre investigazioni già riferite alla Procura Federale nella primaveraestate
del 2011 e già oggetto di cognizione da parte di questa Corte (vedi fra gli altri, Com. Uff. n.
061/CGF – n. 043/CGF e n. 056/CGF) – riguardante una capillare associazione delinquenziale
finalizzata ad alterare, tramite il fattivo coinvolgimento di tesserati, i risultati di molte partite del
campionato italiano di calcio delle diverse categorie e, per effetto delle scommesse effettuate sul
loro esito, finale o parziale e sul numero delle reti realizzate, trarre ingenti profitti illeciti.
Sulla base di tale documentazione la Procura Federale ha poi proceduto a svolgere autonoma
attività di accertamento a conferma dei comportamenti illeciti dei tesserati della Federazione che ha
consentito, secondo l’impianto accusatorio posto alla valutazione del giudicante, l’acquisizione di
elementi di oggettivo conforto sulla sussistenza sia della predetta associazione, costituita anche in
dispregio di quanto previsto dall’art. 9 C.G.S., sia della fitta rete di contatti stabili tra i tesserati, tutti
univocamente preordinati al conseguimento delle finalità illecite del sodalizio (ossia quello di
alterare il normale contesto agonistico delle partite, anche attraverso un’intensa opera di
reclutamento, affiliazione o anche solo episodica partecipazione di altri tesserati) sia, da ultimo, di
appurare come il sistema godesse di un’interessata omertà da parte di coloro che, pur non
direttamente partecipi al progetto criminoso, ne traevano profitto effettuando scommesse in
violazione, anche qui, del divieto imposto dall’art.6 C.G.S..
Su questo quadro di fondo va inserita la specifica vicenda oggetto della presente cognizione
anche se, va detto fin d’ora, la difesa contesta recisamente che la partita, presunto oggetto di
“combine”, possa trovare idonea collocazione nel più vasto fenomeno criminoso in cui è stata
comunque inserita.
La Procura Federale, nel suo atto di deferimento alla Commissione Disciplinare Nazionale,
ha contestato al sig. Vincenzo Italiano, atleta del Calcio Padova S.p.A. di aver proposto, in cambio
di un’imprecisata somma di denaro, di alterare il regolare svolgimento della gara Padova/Grosseto
del 23.3.2010, senza concretizzazione dell’intento fraudolento per il rifiuto opposto dai giocatori
avversari.
Nel provvedimento di accusa la contestazione è stata sostanzialmente formulata con il
conforto delle dichiarazioni di Filippo Carobbio, all’epoca giocatore del Grosseto che avrebbe
ricevuto le confidenze di Marco Turati, suo compagno di squadra e interlocutore, nella circostanza,
dell’Italiano.
Nello specifico, il requirente, nel suo atto di deferimento, ha esposto che il Carobbio aveva
dichiarato, in data 29.2.2012, ad esponenti di quell’Ufficio che, in occasione della partita Padova-
Grosseto, il Turati gli confidò che l’Italiano, giocatore del Padova, lo aveva contattato
promettendogli una somma di denaro in caso di sconfitta della squadra toscana, ma che la proposta
sarebbe stata rifiutata nella convinzione che sarebbe stato particolarmente deleterio perdere la gara
in relazione alla delicata posizione dell’allenatore, al quale venne effettivamente revocato l’incarico
dopo l’avvenuta sconfitta.
Lo stesso requirente non ha ritenuto credibili le dichiarazioni di Turati e Italiano che, pur
ammettendo i loro frequenti contatti telefonici, avevano negato qualsiasi proposta illecita ed ha
reputato di trovare argomenti di prova nella posizione deteriore di classifica del Padova, nel legame
amicale tra l’Italiano e il Turati, coinvolto in plurimi progetti di alterazione di gare calcistiche,
nell’effettività dell’avvenuta conversazione telefonica tra i due, seppur inerente, a loro dire, ad un
mero scambio di informazioni tecniche sull’incontro.
La Commissione Disciplinare Nazionale ha disposto lo stralcio della posizione del Turati
(mentre al Carobbio è stata applicata la sanzione di anni 1 e mesi otto di squalifica su richiesta ai
sensi degli artt. 23 e 24 C.G.S.) ed ha sancito la responsabilità del calciatore Vincenzo Italiano per
violazione dell’art. 7, commi 1,2 e 5 C.G.S. con conseguente irrogazione della squalifica per anni 3.
Analoga e conseguente responsabilità è stata sancita per la società di appartenenza del
giocatore Italiano (la calcio Padova S.p.S.) coinvolta a titolo oggettivo.
Dinanzi a questa Corte il giorno 3 luglio 2012, l’avv. Grassani ha insistito nella tesi già
esposta con articolate e risolute espressioni nel libello difensivo circa l’inattendibilità della
dichiarazione del Carobbio, la genuinità delle affermazioni di Italiano e Turati e le incongruenze
circa il vantaggio conseguibile dalla commissione dell’illecito in relazione alla reale posizione in
classifica delle società interessate e ha concluso per l’assoluzione del suo assistito. Il Procuratore
Federale avv. Stefano Palazzi, da parte sua ha ribadito, preliminarmente, di opporsi alla richiesta
istruttoria formulata nell’atto di costituzione di controparte poiché la stessa istanza era già in primo
grado inammissibile per mancata articolazione per capitoli della prova per testi e, nel merito, ha
confermato la credibilità delle dichiarazioni di Carobbio e l’inattendibilità di quelle assolutorie del
Turati (coinvolto in altri episodi illeciti) e dell’Italiano. Ha confermato la propria richiesta di
conferma della sanzione inflitta.
La Corte esaminati gli atti e valutate appieno le argomentazioni addotte dalle rispettive parti
a sostegno delle loro tesi, ritiene che il ricorso proposto dal calciatore Vincenzo Italiano non possa
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essere accolto in ragione del fatto che, ad avviso di questo Collegio, la commissione del tentativo di
illecito p. e p. dall’art. 7 commi 1,2, e 5 C.G.S. sia più che sufficientemente provato attraverso,
come richiede la norma evocata, del compimento “con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo
svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un
vantaggio in classifica costituisce illecito sportivo”.
La difesa dell’appellante ha posto, a sostegno della ritenuta ed aberrante – sotto il profilo
della ricostruzione dei fatti materiali – decisione del giudice di prime cure, una serie di articolate
argomentazioni che, pur pregevoli per l’intensità del tentativo di demolire la tesi accusatoria e la
conseguenze decisione della Commissione Disciplinare, non raggiungono il loro obiettivo anche
perché, come si dirà, gli stessi episodi che si vuole accreditare come prova dell’estraneità
dell’Italiano alla “combine” possono essere apprezzati anche in segno diametralmente opposto,
tanto da fornire congruenza e riscontro logico-deduttivo alla decisione appellata.
La decisione di non accoglimento merita però che, preliminarmente, la vicenda sia ascritta
in un quadro descrittivo fenomenico e giuridico che ne consenta una migliore intelligibilità di tutta
la vicenda.
A seguito di notizie stampa circa attività istruttoria condotta dalla Procura Federala della
Repubblica di Cremona in merito all’esistenza di una associazione per delinquere finalizzata alla
frode sportiva mediante alterazione del corretto svolgimento di partite di calcio dei vari campionati
svolgentisi sotto l’egida federale (reato mezzo) ed effettuazione di scommesse in denaro sulle stesse
gare, dall’esito scontato alla luce dell’attività presupposta (reato fine), scommesse in ogni caso
vietate ai tesserati ai sensi dell’art. 6 C.G.S., il Procuratore Federale aveva richiesto agli inquirenti
di poter acquisire copia degli atti di interesse per poter avviare l’azione di propria competenza.
Acquisita, nel corso di proficua e prolungata collaborazione, la documentazione messa a
disposizione dall’Autorità Giudiziaria ordinaria (Procura della Repubblica ed Ufficio del G.I.P. del
Tribunale di Cremona) la Procura Federale ha provveduto ad effettuare attività istruttoria, nel corso
della quale i tesserati, che nella precedente sede avevano fornito ampia ed illuminante
collaborazione, hanno confermato le loro dichiarazioni autoeteroaccusatorie mentre altri hanno
negato il loro coinvolgimento.
Va detto, in primo luogo, che non può dubitarsi dell’esistenza di una vasta e radicata
organizzazione delinquenziale transnazionale gestita, al vertice, da soggetti estranei all’ordinamento
sportivo ma nella quale si collocavano, indubitabilmente in posizione di assoluto rilievo (vedi, da
ultimo, ordinanza custodia cautelare in calce emessa dal G.I.P. del Tribunale di Cremona del 2
febbraio 2012), tesserati di questa Federazione, ai quali era stata affidata la responsabilità di
coinvolgere altri soggetti, in organico a società calcistiche, in tutte le fasi, preparatorie ed
esecutive, del disegno criminoso, nonché di “garantire” il buon esito degli accordi illeciti.
Il raggiunto grado di certezza – anche se allo stato di indagini preliminari penali – della sua
esistenza, delle sue dimensioni transazionali e della sua pericolosità, ancorché acclarata nell’ambito
di un ordinamento giudiziario diverso e indipendente rispetto all’ordinamento sportivo (autonomia
dell’ordinamento sportivo confermata dalla Corte Costituzionale in sent. n. 49/2011), non può non
essere posto in dubbio e, ancor più, non essere assunto come dato acquisito nel presente
procedimento, anche se le risultanze cui si è pervenuti in quella sede debbano essere intese solo
come risultato fattuale e senza che questo – in via generale – inibisca all’autorità sportiva di poter
procedere ad autonome verifiche e acquisizioni istruttorie sui fatti illeciti addebitati a soggetti
giuridici sottoposti a questo ordinamento. Né, del pari, viene meno la possibilità di pervenire, sugli
stessi fatti materiali, ad un convincimento proprio, fondato appunto su una distinta valutazione circa
la sussistenza o meno di comportamenti costituenti violazione di norme federali.
Questo non esclude, ovviamente, che si possa giungere a conformi affermazioni di
responsabilità, atteso che norme penali e regole federali hanno, pur con genesi diversa e
procedimentalizzazioni perspicue, finalità omogenee quanto al ripristino dell’ordine violato e
all’affermazione di principi superindividuali ed essenziali per l’organizzazione sociale..
Principi e regolae iuris che pur esplicando la loro diretta ed immediata incidenza
nell’ordinamento che li prevedono, non escludono che la loro essenza possa essere – per la loro
forza persuasiva e intrinseca condivisione – trasfusa in ordinamenti diversi nella generale esigenza,
propria di ogni società civile, di salvaguardare – sempre e comunque – i valori etici fondanti ogni
communitas, antica o moderna che sia.
La valenza generale di principi di diritto comune (nel rispetto dell’autonomia degli
ordinamenti) fa sì che anche nell’ordinamento sportivo – e federale in questo caso – ogni
responsabilità sia affermata in base ad oggettivi riscontri e non mere illazioni, dicerie, congetture
che non hanno dignità di prova o di argomento di prova.
Nell’implicito richiamo a questo principio cardine di ogni sistema processuale la difesa del
calciatore Italiano si lamenta che al suo assistito sia stata comminata una sanzione gravemente
afflittiva in base alle sole dichiarazioni di soggetto sodale ad un sistema criminoso, della cui
credibilità e attendibilità dubita, dichiarazioni che sarebbero,peraltro, rimaste prive di adeguato
riscontro.
Ciò detto, se è vero che l’ordinamento giustiziale federale ha tra i suoi criteri fondanti
quello di dare celere risposta alle condotte poste in essere in violazione dei suoi canoni, è altresì
vero che la risposta non può concretizzarsi in una sorta di giustizia sommaria e meramente
indiziaria: celerità e giustizia effettiva non sono termini antitetici di un sistema ma assolutamente
complementari in un contesto processuale che ha quale suo essenziale scopo quello di ripristinare
l’ordine giuridico vulnerato.
Ciò premesso a titolo di inquadramento generale del contesto in cui va valutata la
contestazione rivolta al calciatore Italiano, debbono affrontarsi le puntuali censure della difesa allo
scopo di verificare se, come dedotto, la stessa contestazione e la decisione che l’ha condivisa siano
o meno immuni da censure.
In primo luogo si accusa di illogicità e inconsistenza le dichiarazioni accusatorie di
Carobbio, smentite da Italiano e Turati, definite prive di qualsiasi conforto anche solo a livello
indiziario, consistenti solo in un breve accenno fatto all’interno di lunghissime e circostanziate
affermazioni su molti altri episodi illeciti, anche tardive e rilasciate da soggetto (il Carobbio) di cui
si dubita credibilità e coerenza.
Si afferma questo premettendo che l’incontro calcistico in osservazione non può essere fatto
rientrare nel più complessivo fenomeno dell’alterazione delle gare attenzionate dall’A.G. ordinaria.
Dato atto che non risulta, per quanto qui rileva, che l’Italiano sia stato attinto da nessuna
accusa di illecito ex art. 9 C.G.S., vi è da dire che la fattispecie in esame non solo non può dirsi
estranea al più complessivo fenomeno portato alla luce dalle investigazioni – della giustizia
ordinaria e della Procura federale – ma non può dirsi neanche che un’eventuale affermazione di
responsabilità dello stesso debba scontare giocoforza un presupposto giudizio di responsabilità
collettiva: quello che qui rileva è se nell’occasione riferita dal Carobbio il giocatore Italiano abbia o
meno compiuto atti idonei e congruenti all’alterazione della gara Padova/Grosseto.
Orbene, secondo le dichiarazioni fatte dal calciatore Carobbio al collaboratore della Procura
Federale in data 29.2.2012, nel contesto di un’articolata esposizione di plurimi progetti di
alterazione di gara, lo stesso riferì che il suo compagno di squadra Turati, in epoca verosimilmente
prossima alla gara, gli aveva riportato l’offerta di una somma di denaro per perdere la partita, in
programma il 23.3.2010, con il Padova, offerta rifiutata per le plausibili ragioni dallo stesse
riportate.
La difesa incentra la sua doglianza sia sulla mancanza di adeguato riscontro oggettivo sia
sulla credibilità e coerenza del personaggio Carobbio, lamentando l’errata e incongrua decisione
della Commissione che avrebbe dato valore a asserzioni prive di effettivo valore probante, rilasciate
da un soggetto asseritamente non credibile.
Quanto assunto dalla difesa merita alcune precisazioni preliminari.
Il parametro cui fare rinvio per valutare le dichiarazioni di Carobbio è quello posto dall’art.
192, commi 3 e 4 c.p.p. e la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha avuto
costantemente modo di affermare che “In tema di valutazione della prova, allorché il chiamante in
correità rende dichiarazioni che concernono una pluralità di fatti-reato commessi dallo stesso
soggetto e ripetuti nel tempo, l’elemento esterno di riscontri in ordine ad alcuni di essi fornisce sul
piano logico la necessaria integrazione probatoria a conforto della chiamata anche in relazione
agli altri purché sussistano ragioni idonee a suffragare un tale giudizio e ad imporre una
valutazione unitaria delle dichiarazioni accusatorie, quali l’identica natura dei fatti in questione,
l’identità dei protagonisti o di alcuni di loro, l’inserirsi dei fatti in un rapporto intersoggettivo
unico e continuativo. Infatti, gli elementi integratori della prova costituita da dichiarazioni rese da
un imputato dello stesso reato o di un reato connesso, ex art. 192 c.p.p., comma 3, possono essere
della più varia natura, e quindi anche di carattere logico, purché riconducibili a fatti esterni a
quelle dichiarazioni” (Cass. pen. VI sez., n. 41352/2010 e giurisprud. ivi richiamata).
Nello stesso senso Cass. pen. Sez. Vi n. 42705/2010 “In tema di valutazione della chiamata
in correità proveniente da un soggetto che abbia reso dichiarazioni complesse, oggetto della
valutazione è la dichiarazione globale del chiamante, relativamente ad un determinato episodio
criminoso nelle sue componenti oggettive e soggettive, e non ciascuno dei punti dallo stesso riferiti.
Ne consegue che per stabilire l’attendibilità di una dichiarazione concernente più chiamate fra loro
strettamente collegate, si può tener conto anche solo di alcuni aspetti significativi di essa, in modo
che, una volta effettuata l’operazione con esito positivo, il giudice di merito possa legittimamente
riconoscere valore probatorio a tutta la dichiarazione e non solo a quella specificamente
riscontrata.”
La conseguenza, sul piano ermeneutico, è che le dichiarazioni di un soggetto che descrive un
complesso fenomenico illecito che, nella sua generalità, si è dimostrato attendibile, non possono
essere messe in discussione se, nel riferire una quantità significativa di episodi, incorra in qualche
errore di dettaglio o non emerga quel riscontro oggettivo principe quale la c.d. smoking gun o il
documento formale di natura negoziale che impegni i sodali allo svolgimento dell’attività
criminosa.
Nessun rilievo deve essere riconosciuto, poi, al fatto che il Carobbio abbia riferito della
telefonata solo in un momento successivo alle sue prime dichiarazioni autoetroaccusatorie perché la
circostanza – oltre a non indicare una qualsiasi incongruità ricostruttiva – appare essere
assolutamente fisiologica in un contesto investigativo in cui il collaborante riferisce – senza
soluzione di continuità – una serie significativa e corposa di eventi illeciti e verso i quali, è naturale,
il riferimento prioritario è riservato a quelli di maggior consistenza lesiva.
Il riscontro, sul piano logico, di un singolo fatto può essere, poi, ragionevolmente rinvenuto
allorché esso si inserisca – senza palesi contraddizioni – in un contesto più generale che ha trovato
oggettive e positive verifiche esterne.
Nel caso di specie, se è indubitabile – per stessa ammissione di Turati e Italiano – che la
telefonata sia effettivamente intervenuta tra di loro alla vigilia dell’incontro, non appare credibile la
motivazione che della stessa viene fornita dagli interessati, giustificazione non collimante ma, anzi,
suscettiva di essere letta in senso indirettamente conforme a quanto assunto da Carobbio.
Infatti, mentre Italiano afferma (verbale al Procuratore Federale del 28.3.2012) di aver
“quasi sicuramente” sentito telefonicamente il Turati qualche giorno prima della partita in esame,
senza fornire alcuna particolare motivazione, il Turati il 12.3.2012 aveva affermato, allo stesso
inquirente, che l’Italiano, “come gli capitava sovente, cercava di ottenere notizie tecniche sulla mia
squadra”, tentativo al quale il Turati “faceva orecchie da mercante”, “nel senso che non fornivo le
indicazioni che mi chiedeva anche perché per noi era fondamentale vincere quella partita per non
far esonerare l’allenatore; preciso che sentivo Italiano in occasione della vigilia di tutte le partite
nelle quali saremmo stati avversari, ma non solo, in quanto mi sentivo frequentemente con lui in
virtù dei nostri rapporti di amicizia”.
Sulle frequentazioni, però, lo stesso Italiano aveva riferito solo di essere “rimasto in
contatto” con il Turati ma di non frequentarsi (perché abitavano in città diverse), nulla riferendo in
relazione né ai dedotti rapporti di amicizia né sull’assiduità delle telefonate con il Turati, limitate
solo alla vigilia degli incontri delle loro squadre.
Perplessità induce poi la riportata sete di acquisizione di “notizie tecniche” da parte
dell’Italiano e la difesa del Turati di “fare orecchie da mercante” come se i due dovessero parlare di
soluzioni tattiche che, apprese dall’Italiano, avrebbero potuto essere efficacemente contrastate
dall’allenatore avversario, attività che, verosimilmente, per queste finalità rientrerebbe anche in
un’ipotesi di alterazione della gara.
Ma a tutto voler concedere, lo stesso Turati conferma la persistente azione informativa
dell’Italiano sulle condizioni della squadra dell’ex compagno, “sia dal punto di vista tattico e
fisico”(verbale ex art. 391 ter c.p.p. del Turati) la qual cosa è indicativa della “strana” insistenza
delle richieste di un giocatore per acquisire notizie che, ove assunte, non avrebbero avuto un
particolare significato, essendo le scelte rimesse, in ultima analisi, all’allenatore.
Quanto alla credibilità e coerenza del Carobbio è lo stesso difensore dell’Italiano che ricorda
come lo stesso abbia riferito del progetto associativo di alterare una serie notevole di incontri di
calcio, segno evidente della sua posizione di rilievo nell’ambito del disegno e dell’organizzazione
criminosa.
Non possono avere efficacia dirimente, poi, come detto le deduzioni circa i tempi e lo
“spazio” riservato alla dichiarazione del Carobbio sulla partita in esame, attesa l’ampiezza delle
informazioni rese dallo stesso, che non potevano essere fatte tutte in un unico contesto confessorio e
la non conoscenza personale del Carobbio da parte dell’Italiano, circostanza questa che oltre a non
essere significativa sul piano della veridicità della ricostruzione dei fatti, indurrebbe invece a
valutare come insussistenti, da parte del primo, possibili motivazioni revanscistiche al
coinvolgimento del secondo.
Induce, poi, indiretta conferma, valida sul piano logico-deduttivo, della possibile finalità
illecita della telefonata intercorsa il fatto che l’Italiano viene chiamato in causa dal calciatore
Gervasoni (verbale al P.M. di Cremona del 27.12.2011) per l’alterazione della gara Padova –
Albinoleffe del campionato 2009/2010 e che lo stesso Turati risulterebbe coinvolto, ancorché la sua
posizione risulti essere stata stralciata, in diversi tentativi di “combine” delle partite del Grosseto.
Elementi questi che, seppur assolutamente indiziari, forniscono possibili e plausibili chiavi
di lettura ad una telefonata che, ad avviso del Collegio, non può che essere intesa nel senso riferito
dal Carobbio.
Né risulta convincente l’articolata deduzione difensiva circa l’effettiva classifica delle due
squadre coinvolte perché non appare fuori da logica un tentativo di combine ad 11 gare dalla fine
del campionato da parte di due squadre che, per motivazioni differenti ed anche opposte, avevano
interesse ad ottenere un risultato favorevole nella gara oggetto di esame.
Quanto dedotto in ordine agli elementi di accusa e alle difese dell’Italiano – per le ragioni
che seguono – ad avviso di questa Corte appare assolutamente idoneo a concretizzare la
responsabilità del calciatore Vincenzo Italiano in ordine alla contestazione mossa dalla Procura e
condivisa dal giudice di prime cure il quale, a differenza di quanto assunto dalla difesa, nel valutare
la richiesta del requirente, ha, seppur sinteticamente, indicato le ragioni probanti il raggiunto
convincimento di quella Commissione Disciplinare.
Appare anche a questo Collegio che gli elementi che precedono, tra loro assolutamente
congruenti e non assistiti da diversa rappresentazione dei fatti o evidenti contraddizioni, siano
idonei a confermare l’affermata responsabilità del giocatore Vincenzo Italiano.
Infatti, quanto alla valenza e validità della costruzione accusatoria va ricordato come il
TNAS, più volte invocato nel corso del giudizio innanzi questa Corte, abbia affermato, in
procedimenti similari a quello odierno che “per ritenere la responsabilità da parte del soggetto
incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della
commistione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera
astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. Tale definizione
dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in
materia di violazione delle norme antidoping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto,
per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice
valutazione delle probabilità , ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. A tale
principio deve assegnarsi una portata generale, sicché deve ritenersi sufficiente un grado inferiore
di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una
ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito” (TNAS Amodio/FIGC del 10.2.2012,
principio confermato in TNAS Signori/FIGC del 26.4.2012 “per irrogare la condanna di un
illecito sportivo è sufficiente un grado di prova superiore al generico livello probabilistico, non
essendo necessaria, al contrario, né la certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né
il superamento del ragionevole dubbio. Ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di
garantire, attraverso una rapida e certa repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle
gare e, per essa, i fondamentali valori giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle
competizioni (art. 1 legge n. 401/1998); fine da perseguire peraltro con assai più limitati strumenti
di indagine rispetto a quelli a disposizione dell’A.G.O.”).
La difesa richiama, in merito quanto affermato da questa Corte nel Com. Uff. n. 43/CGF del
19 settembre 2011 allorché ha osservato, in quella fattispecie, la mancanza di una prova “al di là di
ogni ragionevole dubbio”, ritenuto limite appena sufficiente, secondo la stessa difesa, ad affermare
una responsabilità.
In disparte la circostanza che in quella decisione si è riaffermata la piena vigenza dei
principi enunciati dalla giurisprudenza sportiva (e sopra ricordati) si è detto che in quell’occasione
mancava, comunque, la prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”, con intento assolutamente
rafforzativo dell’assenza di qualsiasi elemento probatorio o seriamente indiziario concludente e
necessario per un’affermazione di responsabilità.
Ora, anche a voler trascendere da ogni disquisizione circa l’esatto limite tra probabilità
rafforzata e raggiungimento di un convincimento oltre ogni possibile dubbio, si deve affermare che
la responsabilità nella commissione dell’illecito sportivo è fattispecie che non può non scontare la
difficoltà dell’acquisizione probatoria in senso pieno, essendo essa ontologicamente e
funzionalmente legata a comportamenti per loro natura sfuggevoli, che trovano quasi sempre il solo
riscontro nelle affermazioni dei partecipi al progetto illecito.
Ma la ricordata difficoltà può essere superata ove si acquisisca una serie organica di
elementi aventi una loro convergente congruità oggettiva e generale che fanno raggiungere, al
giudicante, il sereno convincimento, sulla base delle dichiarazioni e dei riscontri effettuati sulla loro
genuinità, dell’ assoluta verosimiglianza di quanto riferito.
Nel caso in esame non può mettersi in dubbio che il Carobbio sia stato soggetto a pieno
titolo coinvolto nell’organizzazione e che altri tesserati abbiano dato adesione al progetto nel
momento in cui la squadra di appartenenza disputava determinati incontri suscettibili di alterazione;
che la partita in esame sia stata oggetto di un progetto di “combine” poi non realizzatosi; che non
può essere condivisa la tesi che il contatto telefonico tra i giocatori possa essere qualificato come
mero tentativo di acquisizione di notizie tattiche e fisiche.
Si tratta, quindi, di circostanze che depongono per la genuinità della circostanza riferita dal
Carobbio e non negata sostanzialmente dal Turati che ha cercato, in maniera invero puerile, di
accreditare un contenuto ed una giustificazione che cozzano contro ogni buon senso.
Nel corso del dibattimento, invece, non si è raggiunta alcuna prova, alcun serio indizio, che
le complessive dichiarazioni del Carobbio siano state – soprattutto nel caso di specie – vulnerate da
gravi contraddizioni oppure costruite ad arte per risentimento personale nei confronti di alcuno.
Come dimostrato dal complessivo giudizio di prime cure e a riprova della compiuta, serena
valutazione degli elementi accusatori formulati dalla Procura Federale, nel caso in cui le stesse
dichiarazioni non abbiano trovato il benché minimo riscontro, il soggetto interessato è stato
mandato assolto dallo specifico addebito. Nelle fattispecie oggetto di appello, il riferito
coinvolgimento dell’Italiano nel progetto (non realizzatosi) dell’alterazione della gara
Padova/Grosseto del 23.3.2010 ha trovato sufficiente conferma sia per effetto della credibilità e
coerenza delle dichiarazioni confessorie del Carobbio che dal quadro generale che emerge dagli
altri elementi, non distonico rispetto all’ipotesi accusatoria.
Non può, da ultimo, darsi ingresso all’istanza istruttoria formulata dalla difesa del calciatore
Italiano in quanto la stessa istruttoria è stata, con ogni evidenza, valutata inammissibile in primo
grado in ragione della mancata articolazione in capitoli della prova testimoniale richiesta e questo
impedisce che in questa sede, possa essa riproporsi ai sensi degli artt 37 e 41.5 C.G.S..
Alla luce della complessiva motivazione sopra riportata, il reclamo del tesserato Vincenzo
Italiano deve essere respinto con conferma integrale, sul punto, della decisione della Commissione
Disciplinare Nazionale.
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Vincenzo
Italiano e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
40) RICORSO DEL CALCIO PADOVA S.P.A. AVVERSO LA SANZIONE DELLA
PENALIZZAZIONE DI 2 PUNTI IN CLASSIFICA DA SCONTARSI NELLA STAGIONE
SPORTIVA 2012/2013, INFLITTA AI SENSI DEGLI ARTT. 7, COMMA 4 E 4 COMMA 2,
C.G.S. PER RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, PER LE VIOLAZIONI ASCRITTE AL
CALCIATORE VINCENZO ITALIANO, SEGUITO DEFERIMENTO DEL
PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 –
(Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
La società Calcio Padova S.p.A. di Padova, ha proposto ricorso nei termini abbreviati di cui al
Com. Uff. n. 153/A/2012, avverso quanto deciso, nei suoi confronti, dalla Commissione
Disciplinare Nazionale, così come riportato in epigrafe, lamentando l’assoluta ingiustizia della
sanzione irrogatale, per effetto della accertata responsabilità del giocatore Vincenzo Italiano,
all’epoca suo tesserato, di aver compiuto atti idonei ad alterare illecitamente lo svolgimento e il
risultato della gara Padova/Grosseto del 23.3.2010. Responsabilità affermata solo sulla base di
dichiarazioni accusatorie del giocatore Filippo Carobbio, ritenute prive di qualsiasi attendibilità e
riscontro.
La difesa della società, rappresentata dall’avv. Mattia Grassani, ha chiesto l’integrale
riforma della decisione del giudice di primo grado deducendo che quella Commissione Disciplinare
avrebbe inflitto al proprio giocatore e, conseguentemente ad essa società, la sanzione di cui è
cognizione con una decisione “priva di qualsivoglia presupposto, logico e giuridico, idoneo a
supportare i provvedimenti adottati”.
Ci si duole, in particolare, del fatto che la Commissione Disciplinare abbia fondato la sua
decisione su gravi errori di valutazione, distorsione di fatti storici e accreditando come vere e
indiscutibili delle circostanze apprese de relato senza conferire alcun rilievo alle dichiarazioni di
smentita dei giocatori Marco Turati e Vincenzo Italiano. A conforto di queste censure e dell’assenza
di qualsiasi progetto illecito ha instato per accertamenti istruttori mediante acquisizione di
dichiarazioni del dott. Gino Nassuato, medico sociale del Calcio Padova e del calciatore Marco
Turati.
L’articolata doglianza è rivolta, quindi, avverso una decisione affermativa della
responsabilità del giocatore della società patavina che si reputa affetta da carenza probatoria e si
chiede che, in riforma, la sanzione della penalizzazione di punti due in classifica da scontarsi nel
prossimo campionato sia annullata.
La vicenda in esame merita di essere puntualizzata, sia dal punto di vista della sua
contestualizzazione materiale che in ordine al suo sviluppo processuale.
Il procedimento, che vive la sua fase di appello dinanzi questa Corte, è stato originato dal
provvedimento di deferimento della Procura Federale che, sulla base di quanto previsto ex art. 2
della legge n. 401/89 e dell’art. 116 c.p.p. ha chiesto e ottenuto, dall’Autorità Giudiziaria di
Cremona, la trasmissione degli atti relativi ad una complessa attività di indagine – che peraltro
costituisce il prosieguo di altre investigazioni già riferite alla Procura Federale nella primaveraestate
del 2011 e già oggetto di cognizione da parte di questa Corte (vedi fra gli altri, Com. Uff. n.
061/CGF – n. 043/CGF e n. 056/CGF) – riguardante una capillare associazione delinquenziale
finalizzata ad alterare, tramite il fattivo coinvolgimento di tesserati, i risultati di molte partite del
campionato italiano di calcio delle diverse categorie e, per effetto delle scommesse effettuate sul
loro esito, finale o parziale e sul numero delle reti realizzate, trarre ingenti profitti illeciti.
Sulla base di tale documentazione la Procura Federale ha poi proceduto a svolgere autonoma
attività di accertamento a conferma dei comportamenti illeciti dei tesserati della Federazione che ha
consentito, secondo l’impianto accusatorio posto alla valutazione del giudicante, di acquisire
elementi di oggettivo conforto sulla sussistenza sia della predetta associazione, costituita anche in
dispregio di quanto previsto dall’art. 9 C.G.S., sia della fitta rete di contatti stabili tra i tesserati, tutti
univocamente preordinati al conseguimento delle finalità illecite del sodalizio (ossia quello di
alterare il normale contesto agonistico delle partite, anche attraverso un’intensa opera di
reclutamento, affiliazione o anche solo episodica partecipazione di altri tesserati) sia, da ultimo, di
appurare come il sistema godesse di un’interessata omertà da parte di coloro che, pur non
direttamente partecipi al progetto criminoso, ne traevano profitto effettuando scommesse in
violazione, anche qui, del divieto imposto dall’art.6 C.G.S..
Su questo quadro di fondo va inserita la specifica vicenda oggetto della presente cognizione
anche se, va detto fin d’ora, la difesa contesta recisamente che la partita, presunto oggetto di
“combine”, possa trovare idonea collocazione nel più vasto fenomeno criminoso in cui è stata
comunque inserita.
La Procura Federale, nel suo atto di deferimento alla Commissione Disciplinare Nazionale,
ha contestato al sig. Vincenzo Italiano, atleta del Calcio Padova S.p.A. di aver proposto al calciatore
Marco Turati, tesserato della U.S. Grosseto F.C. di Grosseto, in cambio di un’imprecisata somma di
denaro, di alterare il regolare svolgimento della gara Padova/Grosseto del 23.3.2010 con vittoria
della prima, senza concretizzazione dell’intento fraudolento per il rifiuto opposto dai giocatori
avversari.
Nel provvedimento di accusa la contestazione è stata sostanzialmente formulata con il
conforto delle dichiarazioni di Filippo Carobbio, all’epoca giocatore del Grosseto che avrebbe
ricevuto le confidenze di Marco Turati, suo compagno di squadra e interlocutore, nella descritta
conversazione telefonica, dell’Italiano.
Nello specifico, il requirente, nel suo atto di deferimento, ha esposto che il Carobbio aveva
dichiarato, in data 29.2.2012, ad esponenti di quell’Ufficio che, in occasione della partita Padova-
Grosseto, il Turati gli confidò che l’Italiano, giocatore del Padova, lo aveva contattato
promettendogli una somma di denaro in caso di sconfitta della squadra toscana, ma che la proposta
sarebbe stata rifiutata nella convinzione che sarebbe stato particolarmente deleterio perdere la gara
in relazione alla delicata posizione dell’allenatore, al quale venne effettivamente revocato l’incarico
dopo l’avvenuta sconfitta.
Lo stesso requirente non ha ritenuto credibili le dichiarazioni di Turati e Italiano che, pur
ammettendo i loro frequenti contatti telefonici, avevano negato qualsiasi proposta illecita ma ha
reputato di trovare argomenti di prova nella posizione deteriore di classifica del Padova, nel legame
amicale tra l’Italiano e il Turati, coinvolto in plurimi progetti di alterazione di gare calcistiche,
nell’effettività dell’avvenuta conversazione telefonica tra i due, seppur inerente, a dire del Turati, ad
un mero scambio di informazioni tecniche sull’incontro.
La Commissione Disciplinare Nazionale ha quindi disposto lo stralcio della posizione del
Turati (mentre al Carobbio è stata applicata la sanzione di anni 1 e mesi otto di squalifica su
richiesta ai sensi degli artt. 23 e 24 C.G.S.) ed ha sancito la responsabilità del calciatore Vincenzo
Italiano per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5 C.G.S. con conseguente irrogazione della
squalifica per anni 3.
Analoga e conseguente responsabilità è stata sancita per la società patavina mentre l’U.S.
Grosseto ha chiesto e ottenuto l’applicazione di sanzione ex art. 23 e 24 C.G.S..
Dinanzi a questa Corte il giorno 3 luglio 2012, l’avv. Grassani ha insistito nella tesi già
esposta con articolate e risolute espressioni nel libello difensivo circa l’inattendibilità della
dichiarazione del Carobbio, la genuinità delle affermazioni di Italiano e Turati e le incongruenze
circa il vantaggio conseguibile dalla commissione dell’illecito in relazione alla reale posizione in
classifica delle società interessate e ha concluso per l’assoluzione del suo assistito. Il Procuratore
Federale avv. Stefano Palazzi ha ribadito, preliminarmente, di opporsi alla richiesta istruttoria
formulata nell’atto di costituzione di controparte e, nel merito, ha confermato la credibilità delle
dichiarazioni di Carobbio e l’inattendibilità di quelle assolutorie del Turati (coinvolto in altri
episodi illeciti) e dell’Italiano. Ha confermato la propria richiesta di conferma della sanzione inflitta
sia al giocatore che alla società.
La Corte esaminati gli atti e valutate appieno le argomentazioni addotte dalle rispettive parti
a sostegno delle loro tesi, ritiene che il ricorso proposto dalla società patavina non possa essere
accolto.
L’articolata difesa opposta dall’appellante avverso la decisione di prime cure, peraltro
centrata, ovviamente, sull’erroneità della sanzione inflitta al proprio giocatore non è meritevole di
condivisione, come non può accogliersi la conseguente richiesta di annullamento della sanzione
inflitta.
La complessiva e complessa vicenda che oggi è all’esame – pro parte – di questa Corte trova
la sua genesi in ambito federale da una prolungata attività istruttoria condotta dalla Procura della
Repubblica di Cremona in merito all’esistenza di una associazione per delinquere finalizzata alla
frode sportiva mediante alterazione del corretto svolgimento di partite di calcio dei vari campionati
svolgentisi sotto l’egida federale (reato mezzo) ed effettuazione di scommesse in denaro sulle stesse
gare, dall’esito scontato alla luce dell’attività presupposta (reato fine), scommesse in ogni caso
vietate ai tesserati ai sensi dell’art. 6 C.G.S.. L’esito delle indagini svolte ha indotto la Procura della
Repubblica a richiedere l’adozione di misure cautelari personali nei confronti, anche, di soggetti
tesserati con conseguente richiesta del Procuratore Federale di poter acquisire copia degli atti di
interesse per poter avviare l’azione di propria competenza.
L’attività istruttoria di quest’ultimo, in una con le risultanze di quella avviata dalla Procura
della Repubblica, allo stato non conclusa, ha consentito di poter affermare come conclamata
l’esistenza di un’ organizzazione delinquenziale transnazionale gestita, al vertice, da soggetti
estranei all’ordinamento sportivo ma nella quale si collocavano, indubitabilmente in posizione di
assoluto rilievo (vedi, da ultimo, ordinanza custodia cautelare in calce emessa dal G.I.P. del
Tribunale di Cremona del 2 febbraio 2012), tesserati di questa Federazione, ai quali era stata
affidata la responsabilità di coinvolgere altri soggetti, in organico a società calcistiche, in tutte le
fasi, preparatorie ed esecutive, del disegno criminoso, nonché di “garantire” il buon esito degli
accordi illeciti.
Il raggiunto grado di certezza – anche se allo stato di indagini preliminari penali – della sua
esistenza, delle sue dimensioni transazionali e della sua pericolosità, ancorché acclarata nell’ambito
di un ordinamento giudiziario diverso e indipendente rispetto all’ordinamento sportivo (autonomia
dell’ordinamento sportivo confermata dalla Corte Costituzionale in sent. n. 49/2011), non può non
essere posto in dubbio e, ancor più, non essere assunto come dato acquisito nel presente
procedimento, anche se le risultanze cui si è pervenuti in quella sede debbano essere intese solo
come risultato fattuale e senza che questo – in via generale – inibisca all’autorità sportiva di poter
procedere ad autonome verifiche e acquisizioni istruttorie sui fatti illeciti addebitati a soggetti
giuridici sottoposti a questo ordinamento. Né, del pari, viene meno la possibilità di pervenire, sugli
stessi fatti materiali, ad un convincimento proprio, fondato appunto su una distinta valutazione circa
la sussistenza o meno di comportamenti costituenti violazione di norme federali.
Questo non esclude, ovviamente, che si possa giungere a conformi affermazioni di
responsabilità, atteso che norme penali e regole federali hanno, pur con genesi diversa e
procedimentalizzazioni perspicue, finalità omogenee quanto al ripristino dell’ordine violato e
all’affermazione di principi superindividuali ed essenziali per l’organizzazione sociale..
La difesa della società appellante, richiamando i canoni minimi richiesti dall’ordinamento
penalistico per l’affermazione di responsabilità si duole che sia stata comminata – al proprio
giocatore e, a titolo di responsabilità oggettiva ad essa società – una sanzione gravemente afflittiva
in base alle sole dichiarazioni di soggetto sodale ad un sistema criminoso, della cui credibilità e
attendibilità dubita, dichiarazioni peraltro rimaste prive di adeguato riscontro.
Questa Corte, però, sulla base di motivate ragioni di dissenso rispetto alle affermazioni
difensive, ha respinto il ricorso in appello proposto dal giocatore Vincenzo Italiano, confermando
nei suoi confronti la sanzione della squalifica a 3 anni commi tagli in primo grado.
E’, quello che precede, un presupposto necessario ed ineludibile, dal quale non può
prescindersi nel valutare la doglianza della Calcio Padova S.p.A.
La società patavina è stata sanzionata a titolo di responsabilità oggettiva, quale soggetto
giuridico sportivo per il quale svolgeva la propria attività il calciatore Vincenzo Italiano che, come
detto, è stato riconosciuto, con separata decisione, responsabile di illecito sportivo ex art. 7, commi
1, 2 e 5 C.G.S..
Rammentato ciò, deve altresì ricordarsi come costituisca rilevante pilastro dell’ordinamento
federale il precetto posto dall’art. 4 C.G.S. in materia di responsabilità delle società allorché siffatti
soggetti sono chiamati a rispondere dell’operato di chi le rappresenta, dei dirigenti, dei tesserati e di
quelli enumerati all’art. 1, comma 5 C.G.S., sia a titolo di responsabilità diretta, sia oggettiva e
presunta.
Il Collegio, a tal fine, richiama la rilevanza, non solo dogmatica ma anche di ordine
pubblico, dell’istituto della responsabilità oggettiva delle società, così come previsto dall’art. 4
comma 2 C.G.S. e, con particolare, significativo riguardo alla fattispecie dell’illecito sportivo,
dall’art. 7 comma 4 del C.G.S..
Il coordinato quadro normativo rappresentato dalle disposizioni del Codice di Giustizia
Sportiva prevede che le società rispondono oggettivamente, ai fini disciplinari, dell’operato dei
dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1, comma 5 (ovvero i soci e non soci cui è
riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché coloro che
svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per
l’ordinamento federale” e che (art. 7, commi 1 e 4 del C.G.S.) qualora venga accertata la
responsabilità oggettiva o presunta della società ai sensi dell’art. 4,comma 5, il fatto è punito, a
seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui dell’art. 18, comma 1 alle lettere g) (penalizzazione
di uno o più punti in classifica), h) (retrocessione all’ultimo posto in classifica del campionato di
competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria,), i) (esclusione dal
campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, con
assegnazione da parte del Consiglio federale ad uno dei campionati di categoria inferiore), l) (non
assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia o di vincente del
campionato, del girone di competenza o di competizione ufficiale), m) (non ammissione o
esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni)”.
Si tratta di un sistema normativo consolidato che si è perpetuato pressoché immutato negli
anni, cosicché la giurisprudenza sportiva ha espresso il proprio unanime indirizzo nella suddivisione
della responsabilità delle Società in tre tipologie: la responsabilità diretta, quando la condotta vietata
sia commessa da persona che abbia la legale rappresentanza del club coinvolto; quella oggettiva,
quando il comportamento sia ascrivibile ad un dirigente privo di legale rappresentanza, ad un
tesserato ovvero ad uno dei soggetti di cui all’art. 1 comma 5 del C.G.S. e, da ultimo, quella
presunta, che ricorre allorché l’illecito sia posto in essere, a vantaggio della Società, da un estraneo
alla stessa. (cfr. Com. Uff. n. 061/CGF 2011/2012 e TNAS Benevento Calcio /FIGC del 30.1.2012
richiamata anche da TNAS Atalanta Bergamasca/FIGC del 2.5.2012).
La vicenda oggi all’esame riguarda un episodio in cui la condotta della società non può che
essere qualificata come oggettiva perché quello che rileva, da un punto di vista disciplinare, è il
vincolo di tesseramento tra calciatore e Società, sufficiente a configurare a carico della compagine
stessa, la responsabilità ex art. 4 comma 2 C.G.S.) e, precisamente, quella in illecito sportivo (art. 7
comma 4 del C.G.S.).
La Corte non ignora che la responsabilità oggettiva sconta, da tempo, una sua perspicua
peculiarità nell’ordinamento sportivo (v. Com. Uff. n. 7/C – CAF stagione sportiva 2004/2005) la
quale però trova giustificazione con necessità operative e organizzative che tutelano,
principalmente, la regolarità delle competizioni e dei campionati grazie alla indiscutibile
semplificazione valutativa che è ad essa legata e che trova valida sponda argomentativa nella
necessità di definire, con decisioni certe e rapide, eventi che, ove impuniti per lungo tempo in attesa
della definizioni di procedimenti propri di altri ordinamenti, stravolgerebbero irreversibilmente
l’ordinamento sportivo (in termini Com. Uff. n. 061/CGF 2011/2012 cit.).
D’altronde, tutta la giurisprudenza sportiva (in linea con quella costituzionale, v. sent. n.
49/2011) ha da tempo precisato il principio di reciproca separatezza dell’ordinamento sportivo da
quello statale, con conseguente autonomia, per gli organi della Giustizia sportiva, dalla prospettata,
doverosa applicazione delle regole di garanzia tipiche del processo penale, tra le quali quelle
relative alla formazione delle prove. (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 19 marzo 2008, n.2472,
T.A.R. Lazio, n. 5645/2007.)
Principio di autonomia che, ad esempio, conferisce negativo rilievo a comportamenti che,
considerati nell’ambito dell’ordinamento generale, non solo non
suscitano allarme sociale ma addirittura sono espressamente consentiti e regolamentati, come nel
caso delle scommesse, vietate ex art. 6 CGS ma ammesse in altre sedi e per soggetti non tesserati.
Il postulato che discende dalle premesse poc’anzi delineate è quello che, accertata la
responsabilità diretta del giocatore Vincenzo Italiano, quale autore di illecito sportivo diretto ad
alterare la gara Padova-Grosseto del 23.3.2010, non può che confermarsi la decisione della
Commissione Disciplinare Nazionale resa in primo grado circa la responsabilità oggettiva della
società per cui l’Italiano era, all’epoca, tesserato, ovvero il Cacio Padova s.p.a. di Padova.
Da siffatto automatismo non discende, peraltro, che questa Corte non possa, ove ritenuto,
esercitare il proprio potere di graduazione della pena, stante il pieno effetto devolutivo dell’appello.
La società calcio Padova S.p.A. è stata sanzionata in prime cure con la penalizzazione di due
punti in classifica da scontarsi nella Stagione Sportiva 2012/2013.
Oggetto di specifica valutazione può essere, allora, l’eventuale coinvolgimento nella
materiale causazione dell’evento, il conseguimento di svantaggi o vantaggi, l’adozione di misure
idonee a prevenire o contrastare il fenomeno ecc..
Nel caso di specie, ritiene il Collegio che non si è raggiunta prova che il progetto illecito si
sia concretizzato nel senso riferito da Carobbio o in quello contrario né che ricorrano altre
circostanze che inducano il Collegio a reputare come incongrua una penalizzazione che la difesa ha
definito in termine di estrema gravità ma che invece, secondo questa Corte, non solo appare
congrua ma praticamente irrogata in misura appena al di sopra della soglia del minimo edittale.
Il ricorso finalizzato ad annullare o a ridurre la predetta sanzione, per tutti i motivi illustrati
supra non può essere accolto.
Non può, da ultimo, darsi ingresso all’istanza istruttoria formulata dalla difesa della società
patavina in quanto la stessa richiesta istruttoria è stata, con ogni evidenza, valutata inammissibile in
primo grado in ragione della mancata articolazione in capitoli della prova testimoniale richiesta e
questo impedisce che in questa sede, possa essa riproporsi ai sensi degli artt . 37 e 41.5 C.G.S..
Alla luce della complessiva motivazione sopra riportata, il reclamo della Società Calcio
Padova S.p.A. di Padova deve essere respinto con conferma integrale, sul punto, della decisione
della Commissione Disciplinare Nazionale.
Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal Calcio Padova S.p.A.
di Padova e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
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