BARI (…) Il post partita di Bari-Padova ha regalato una storia di calcio e grande umanità. Il protagonista è il beniamino dei tifosi biancoscudati, Matias Cuffa, l’esempio tipico, se ce n’è uno, del giocatore che si è fatto da sé, arrivando in alto solo grazie a grinta e determinazione fuori dal comune. Siamo alle battute finali della partita quando un signore di mezza età, nella tribuna centrale del “San Nicola”, riconosce l’accento veneto e si avvicina ad un gruppo di tifosi. Sono sette fedelissimi padovani, ai quali l’interlocutore chiede se sia possibile avvicinare, prima della partenza del pullman, il capitano della squadra. Perché? Perché lui è Piero Musci, il primo presidente di Cuffa, nella sua seconda avventura italiana. Colui che ha accolto un giovanissimo argentino, il quale, dopo la prima traumatica esperienza a Monselice (da dove era scappato nel giro di un mese per tornare a casa), aveva deciso di riprovare a sfondare nel Belpaese. Era l’estate del 2001 quando Cuffa sbarcò all’aeroporto di Bari Palese per giocare una stagione in Puglia nella squadra tarantina del Castellaneta, in Eccellenza. Da lì iniziò la sua carriera in giro per la Penisola. E da quella stagione Musci e Cuffa non si erano più visti. I tifosi biancoscudati, ascoltata la storia, provano ad avvicinarsi agli spogliatoi, chiamano il presidente Penocchio e riescono a far avvicinare Musci. Cuffa sta per salire sul pullman quando viene fermato e non crede ai suoi occhi: riconosce subito Musci, lo abbraccia forte e quasi si commuove, prima di rientrare negli spogliatoi. Una sorpresa così non poteva non essere premiata e il Cabezòn decide di regalare la maglietta con cui è tornato al gol, dopo 14 mesi di astinenza, proprio al suo vecchio presidente. Il tempo di fare quattro chiacchiere e il capitano sale sul pullman per dirigersi verso l’aeroporto e tornare a Padova, mentre Musci, prima di rientrare a Castellaneta, non smette di sorridere e ringraziare i tifosi biancoscudati che gli hanno permesso di rivedere il suo vecchio pupillo. «È stata una grande emozione», racconta. «Pensate, sono stato proprio io ad andarlo a prendere all’aeroporto quando giunse da Buenos Aires. Era fine agosto, ma in Argentina faceva freddo e lui indossava il cappotto. Sembrava Batistuta per la capigliatura, ma era molto magro e arrivava da una situazione problematica. A quel tempo in Argentina si soffriva molto la crisi. Così decisi di tirarlo su a carne di cavallo». Aveva vent’anni Cuffa, l’inverno precedente era stato a Monselice ma non si era ambientato, tornando in patria dopo appena due partite. Come ha fatto, poi, a finire a Castellaneta? «Me lo avevano segnalato dei conoscenti liguri, visto che Matias ha degli antenati di Genova. Decisi di provarlo, all’epoca faceva il centravanti e, anche se si vedeva che non era il suo ruolo, ci diede una grande mano. In quella stagione ci avevano indicato come la squadra-materasso, invece sfiorammo la promozione in D. A fine anno l’argentino iniziò il suo lungo tour per l’Italia e adesso sono veramente orgoglioso che sia riuscito a fare questa grande carriera».
Fonte | Stefano Volpe per il Mattino di Padova
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