Cielo grigio e pioggia a catinelle. I colori e il clima sembrano quelli dell’autunno inoltrato, non della primavera che bussa alle porte. L’allenamento dei biancorossi è finito da pochi minuti e Alessandro Dal Canto si presenta nella sala-conferenze dello splendido centro tecnico di Isola Vicentina con il volto tirato, anche se basta poco per “sciogliergli” la tensione che ha dentro.
“Sente”, inevitabilmente, il derby: ritornare all’Euganeo da avversario, e per giunta alla guida di una squadra disperata o quasi, non può essere “normale”. Per lui, che in biancoscudato c’è stato tre stagioni (una e mezza sulla panchina della Primavera, e una e mezza come allenatore dei “grandi”), la sfida di sabato ha un sapore speciale: la prima volta “contro” il Padova da mister, non da giocatore. Fra l’altro, alla vigilia del compleanno, visto che domenica compirà 38 anni. Ha un pensiero fisso in testa: salvare il Vicenza. I Cassingena (padre e figlio) e gli altri soci lo hanno chiamato al capezzale del malato proprio per tentare il “miracolo” di una resurrezione che sino ad un mese fa pareva impossibile. Oggi, dopo sei partite (tre perse al Menti e tre vinte in trasferta, 9 punti presi su 18), la situazione è sempre difficile: terz’ultimo in classifica, dunque condannato (se finisse ora) ad una nuova retrocessione in Lega Pro.
Dal Canto, che regalo si aspetta dai suoi giocatori a Padova?
«Quella di sabato è una partita importante, ma non è la “mia” partita, non voglio che venga considerata tale. Noi cerchiamo punti, siamo costretti ad andarceli a prendere ovunque, come abbiamo fatto sino ad oggi. Dunque, ci proveremo pure a Padova. Quanto al compleanno, lo festeggerò in famiglia, con moglie e figlia».
Però, dai, ammetterà che non sarà una giornata di campionato come lei…
«Fa parte del lavoro ritrovarsi contro una squadra che si è allenato sino a ieri. Come da giocatore ho cambiato tante maglie, altrettanto succederà, spero, da tecnico. Il Padova è il club che mi ha dato la possibilità di cominciare questo mestiere. Come faccio a restare insensibile? I bei ricordi sono legati a tantissime persone, farei un torto se non le citassi tutte, e sono molte, ma consentitemi un’eccezione per Sottovia e De Franceschi, per Piero e gli altri personaggi che lavorano nell’ombra. In tre anni li ho apprezzati dentro e fuori dal campo».
Non ha citato Cestaro. Forse per il modo in cui vi siete lasciati nel giugno scorso?
«È stato il mio presidente per tre anni, ho avuto un rapporto normale con il cavaliere. Così com’è normale che lui abbia scelto altri. Ho cercato di fare il mio lavoro, ci eravamo prefissati un obiettivo (i playoff, ndr) che non è stato raggiunto. Si è deciso di cambiare, ne ho preso atto. Se non altro, non mi ha esonerato».
Adesso se ne può parlare, dato che non fa più parte dell’organigramma biancoscudato: che cosa non ha funzionato l’anno scorso?
«Ci sono state cose buone e altre decisamente meno. La delusione finale è stata cocente, ci aspettavamo tutti di più. Posso dire che avevamo una buonissima squadra, a 8 giornate dalla fine eravamo a 59 punti, e siamo riusciti a perdere sei partite su otto. Grosseto? Sì, penso che quel pareggio (da 2-0 per il Padova a 2-2) abbia rappresentato la svolta in senso negativo. Il contraccolpo fu pesante».
E poi lei doveva gestire un gruppo in cui erano ben cinque i giocatori coinvolti nel calcioscomesse…
«Vero anche questo. Ne avevamo tanti, troppi di indagati. Non sarei stato tanto tranquillo se fosse capitato a me da giocatore, figuratevi loro! Non credo sia semplice scendere in campo in quella situazione».
I tifosi non stati teneri con lei: prima l’hanno criticata per la sostituzione discutibile di El Shaarawy nella finale playoff di Novara del 2011, dopo l’espulsione di Cesar, poi le hanno imputato la responsabilità del disastroso finale dell’ultimo torneo. Le hanno urlato “asino asino” al termine della gara di fine stagione con l’Ascoli.
«Non ho nessun rancore, non vado in cerca di rivincite, se è questo ciò che si vuole sapere. Sono in pace con me stesso. Di rimpianti non ne ho, in quei momenti ho dato il massimo. Si può sbagliare, certo. El Shaarawy? La mia scelta di quella sera l’ho già spiegata, inutile tornarci su. Quell’anno è esploso in una squadra che gli consentiva di esprimere le sue caratteristiche migliori. Giocava vicino a gente di un certo spessore e, per quanto vi possa sembrare strano, ritengo che il Padova più forte che ho avuto sia stato proprio quello: era più completo, a tratti inarrestabile. Quanto all’”asino”, se a qualcuno piace perdersi dietro a queste cose, faccia pure».
Veniamo all’attualità, vale a dire il derby. Lei non ne ha ancora perso uno da quando fa l’allenatore, 1 vinto contro il Vicenza il primo anno, 4 successi e 2 pareggi nel secondo campionato, e il colpaccio di Verona del 9 febbraio scorso. Il Padova, da parte sua, ha centrato l’en plein nell’attuale stagione: 4 su 4. Come la mettiamo?
«Che è durissima. Loro stanno bene, vengono da due vittorie di fila e giocano in casa. Sono un’ottima squadra, hanno la classifica che si meritano, correranno sino all’ultimo per i playoff. In questo momento hanno compattato la difesa e hanno un Farias in più. C’è sempre Cutolo e mi pare che Bonazzoli sia recuperato. Noi abbiamo acquisito una nostra identità, non ci saranno stravolgimenti, avremo lo stesso atteggiamento delle gare precedenti, ma dobbiamo raccogliere punti».
Fonte | Stefano Edel per Il Mattino di Padova
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