Fonte | Furio Stella per Il Mattino di Padova
Dov’è sepolto Silvio Appiani? Non nella tomba di famiglia al cimitero di Chiesanuova. E nemmeno a Vicenza, dove l’attaccante del Padova d’inizio secolo, alla cui memoria è intitolato il vecchio stadio cittadino, era nato nel 1894, bensì a Redipuglia. Sì, proprio nel Sacrario Militare in provincia di Gorizia che raccoglie i resti dei caduti della Prima Guerra Mondiale, in una delle due grandi tombe comuni dove riposano, assieme a lui, le salme di altri 60 mila soldati (su 100 mila sepolti) mai identificati e dunque senza nome. È questa la clamorosa conclusione a cui è arrivato, dopo più di un anno di meticolose indagini, il Commissariato generale per le Onoranze dei caduti in guerra, che ha sede a Roma presso il Ministero della Difesa. Indagini sollecitate nel 2012 proprio dalla famiglia Appiani per accertare se davvero il loro parente più famoso riposa nell’ossario di famiglia, dove comunque una targa con il suo nome lo ricorda, oppure no. «Mio nonno diceva che sarà senz’altro sul Carso perché è morto lì, ma fino ad oggi non ne eravamo sicuri», dice Francesca Appiani, la nipote di Silvio, che i tifosi del Padova ricorderanno per la sua strenua difesa condotta alcuni anni fa contro l’allora ventilato abbattimento dello stadio di via Carducci che porta il nome del suo pro-zio.
Volontario. Silvio Appiani morì sul Carso, alle pendici del monte San Michele, il 21 ottobre 1915, dunque nei primissimi giorni di guerra. Aveva appena compiuto 21 anni, essendo nato il 21 settembre 1894 (e non, come riporta la bibliografia calcistica, il 5 aprile). Si era arruolato volontario, rifiutando di aggregarsi al Corpo della Sanità Militare a cui era stato destinato, e chiedendo di combattere in fanteria. Il 5 ottobre venne assegnato con i gradi di sottotenente al 139º Reggimento, brigata «Bari», a Bosco Lancia, dove morirà 16 giorni dopo sotto un pesante bombardamento austriaco. Proprio il bombardamento, o il fatto che probabilmente i corpi dei caduti restarono sul terreno per molti giorni prima di essere raccolti e composti, spiegherebbe la sua mancata identificazione e, dunque, la sepoltura come «ignoto» a Redipuglia, prima nell’ex cimitero di guerra, dove furono portati quasi tutti i caduti in quella zona, e poi nel nuovo Sacrario monumentale inaugurato nel 1938. «Purtroppo, al momento delle esumazioni», chiarisce il Ministero della Difesa, tramite la direzione storico-statistica delle Onoranze ai caduti, nella lettera inviata alla famiglia a firma del generale D’Accolti, «molti resti, tra i quali probabilmente anche quelli del sottotenente di complemento Silvio Appiani, non furono identificati per carenza di elementi idonei ad un riconoscimento certo e vennero collocati nel Sacrario fra quelli degli “Ignoti”».
Carneficina. Una carneficina, diciamolo. Come lo fu tutta la Grande Guerra: 700 mila i soldati italiani morti al fronte nei quattro anni di conflitto, più un milione tra feriti e mutilati. In vita, attaccante del Padova dal 1913 al 1915, Appiani aveva segnato 18 gol in 16 partite: una media record mai raggiunta nella storia da nessun altro giocatore biancoscudato. Era anche capitano, e da capitano una volta, in segno di protesta per una punizione non accordata dall’arbitro, si racconta che se ne uscì dal campo assieme a tutta la squadra. A suo nome venne intitolato lo stadio di via Carducci, inaugurato il 19 ottobre del 1924 con la partita Padova-Andrea Doria, vinta dai biancoscudati per 6-1, e dove il Padova ha giocato ininterrottamente fino al 1994 prima di traslocare all’Euganeo.
Milite ignoto. Curioso, no?, che i risultati dell’indagine del Ministero siano arrivati a cavallo fra l’anniversario della morte, cioè due lunedì fa, e la solenne Commemorazione dei Caduti, in programma proprio a Redipuglia lunedì 4 novembre. Ma c’è un’altra coincidenza, o meglio un’ipotesi suggestiva, che si apre a questo punto. E cioè la possibilità, remotissima per carità ma che certo non si può escludere, che i resti di Silvio Appiani riposino addirittura nella tomba del Milite Ignoto a Roma, al Sacrario della Patria in piazza Venezia, dov’è stato sepolto un soldato senza nome come lui. Perché? Perché alcune delle 11 bare anonime tra cui venne scelto il Milite nel 1921 provenivano dal Carso, teatro delle battaglie più cruente della nostra Prima Guerra Mondiale, comprese quelle che videro l’orrore dei gas chimici, utilizzati per la prima volta sul fronte austro-italiano proprio a San Michele nel 1916. Ed è un’ipotesi che non potrà mai avere una verifica, lo sappiamo, ma proprio per questo la lasciamo volentieri lì.
Fonte | Furio Stella per Il Mattino di Padova
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