Domenica 29 Maggio 1994 è una data segnata in rosso nel calendario della storia calcistica della città di Padova. È il giorno di una gara forse non spettacolare,non di cartello, decisiva solo in parte: contro i rosanero del Palermo, in una penultima giornata di campionato che vede i biancoscudati in corsa per la Serie A. La data di un commosso saluto: quello allo Stadio Appiani, il cuore di una città stretta attorno alla propria squadra.
Sui quotidiani, il titolo “Com’è triste dirti addio” anticipa l’ultimo atto nel teatro di innumerevoli ricordi. Sugli spalti, 14.371 tifosi si sgolano, sventolano i vessilli, consumando tutte le energie a disposizione. Il gol non arriverà, se non sul campo della diretta avversaria per la promozione, sconfitta a domicilio. Sarà quello l’ultimo boato, prima dei titoli di coda.
C’è chi l’ha chiamato stadio, chi l’ha definito una seconda casa, un monumento del calcio italiano. Altri, il luogo dei primi ricordi, o ancora, fonte di emozioni, uniche ed indescrivibili, sul manto erboso del suo campo da calcio, come sugli spalti gremiti. Un simbolo, abbandonato all’incuria del tempo, lasciato appassire nel suo vestito antico, progressivamente privato dei suoi organi vitali: la curva nord, quella con le cupole della Basilica di Santa Giustina sullo sfondo; la parte più recente della gradinata Est; la torretta che fu area d’osservazione privilegiata di tanti presidenti, allenatori, cronisti.
Da quel Padova-Palermo il calcio che conta ha lasciato l’Appiani. Non vi hanno più rimesso piede, per una partita ufficiale, quelle maglie bianche con lo scudo sul petto, fatta salva qualche apparizione delle giovanili o di locali compagini dilettantistiche.
Le tante voci di riqualificazione o talvolta di totale abbattimento hanno turbato i sonni delle generazioni di bambini, ragazzi, uomini, anziani che l’Appiani lo hanno vissuto nel tempo. Fino all’annuncio, nell’estate del 2012, di una gara d’appalto per raccogliere fondi (privati) per salvare lo stadio. Michele Toniato, volenteroso Consigliere del Comune di Padova, ci ha sempre creduto, anche di fronte allo scetticismo di qualche collega, tra i quali l’Assessore allo Sport Umberto Zampieri o lo stesso Sindaco Flavio Zanonato per l’oggettiva difficoltà di attuare un progetto di simile portata in un momento di crisi economica e finanziaria.
Il ritorno alla luce dello storico impianto è datato 21 luglio 2012, un assolato sabato pomeriggio, con i biancoscudati di nuovo sul terreno verde dopo oltre 18 anni. Per una insignificante amichevole nel bel mezzo del ritiro, ma in una giornata indimenticabile per 1.500 tifosi. Tanti quanti i tagliandi concessi, polverizzati in poche ore presso le biglietterie durante la settimana.
La riapertura dei cancelli dello stadio di Via Carducci ha generato emozioni dal sapore antico, per la Padova sportiva. Le stesse sensazioni che devono aver attraversato i cuori di due imprenditori della Provincia, i fratelli Sandro e Michele Vecchiato, titolari di un birrificio dalla grande tradizione nonché tifosi biancoscudati.
Interbrau (www.interbrau.it) sarà il primo sponsor della riqualificazione dello stadio-catino. Ammonta a 150.000 Euro la prima proposta di investimento avanzata in Comune, rispetto ai vari stralci previsti per i lavori di messa a norma e ristrutturazione (600 mila Euro la cifra complessiva). Il marchio dell’azienda diretta dai fratelli Vecchiato, imprenditori lungimiranti e già attivi nel campo delle sponsorizzazioni sportive con diverse partnership in veste di supplier, supporterà la ristrutturazione della vecchia Curva Sud, un tempo destinata ai tifosi ospiti. Sarà ridisegnata senza barriere rispetto al campo, con 550 nuovi seggiolini bianchi e rossi. Il primo passo, se tutto andrà come da progetto, verso un restyling che porterà l’Appiani a rivivere con la sua tribuna e la sua gradinata (che verrà parzialmente abbattuta e ristrutturata, con buona probabilità). Per circa 2.000 posti complessivi che riporteranno l’impianto a una dignità smarrita nel tempo.
L’Appiani è stato (ed è ancora) simbolo di un’intera città, cuore pulsante di essa nella quotidianità. Soprattutto, unico centro di interesse nelle domeniche in cui la squadra biancoscudata giocava in casa. Il Padova giocava in casa, nel vero senso della parola, con le strade adiacenti bloccate al traffico, le case vicine con i vetri spalancati, per non rischiare che un boato, il frastuono dopo un gol, li mandasse in frantumi.
“Il nostro cuore per sempre su questi spalti”, recitava un drappo appeso in gradinata quel 29 maggio 1994. Dopo il fischio finale, l’ultimo della storia, le tribune si svuotarono lentamente, mentre dal campo venivano tolti i cartelloni pubblicitari. Qualcuno rimase seduto sui gradoni, ad occhi chiusi, per respirare un’ultima volta quel profumo inconfondibile: il profumo dell’Appiani vestito a festa per la sua Padova. Il tempio chiudeva i battenti, dopo 70 anni esatti dalla sua costruzione e inaugurazione: 25.500 giorni, più o meno, per chissà quante partite giocate, quanti gol segnati, quanti spettatori sui suoi gradoni.
Era necessaria un’operazione di marketing e comunicazione di questa portata per permettere ai tifosi di tornare, almeno un po’, indietro nel tempo. E ritornare a sognare, soprattutto, che un giorno, questo stadio torni a dominare la città accogliendo migliaia di fans per una partita del Padova.
Ancora oggi, infatti, scorgere i riflettori grigi da Prato della Valle riporta alla memoria immagini e suoni. Sembra ancora rimbombare nelle orecchie, l’urlo della fossa dei leoni. Sembra quasi di assaporare, una volta in più, l’immagine eterna di un pallone che rotola verso la porta: prima di un gol, nel cuore di Padova.
Fonte: Marco Lorenzi per Rtrsports.com
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